fasce frangivento: da Latina Oggi del 18/03/2011

Pagina 7 da Latina Oggi del 18-04-2011

Pagina 7 da Latina Oggi del 18-04-2011

Pontiniaweb.it propone un’interessante articolo pubblicato sul quotidiano locale Latina Oggi a firma di Emilio Drudi nella cronaca di Latina (Pagina 7 da Latina Oggi del 18-04-2011) relativo alle cordigliere frangivento che ben si può applicare anche alla situazione delle fasce di eucaliptus, e non solo, nel territorio del comune di Pontinia.

“RICREARE le fasce frangivento in tutto l’Agro Pontino. E’ una delle proposte principali che esce dal fiume di parole della recente intervista fatta da Latina Oggi ad Antonio Pennacchi. Destinatario: il futuro sindaco di Latina. Non sembra una questione «primaria», in una città e in una provincia dove la crisi morde più che altrove, dove ogni giorno chiude una fabbrica, dove i giovani, senza prospettive di lavoro e di futuro, contano sempre di meno. E dove le mafie si sono radicate e aggrediscono l’economia e la politica. Vale tuttavia la pena di parlarne. Ma a patto di non farne l’ennesimo capitolo del «mito della bonifica»: questo recupero degli antichi filari di alberi, caratteristici della pianura pontina, può assumere valore solo se guarda avanti e serve, anzi, a superare quel mito, ricollocandolo nella storia. E, allora, partiamo dalla storia. Forse Pennacchi lo ha dimenticato, ma i primi nemici di quelle centinaia di chilometri di fasce frangivento sono stati i coloni: sì, proprio i pionieri e i figli dei pionieri assegnatari dei poderi dell’Agro Pontino. Sono stati loro a distruggerli in buona parte abbattendoli, incendiandoli, avvelenandone le radici con benzina e diserbanti. Quasi tutti li ritenevano un impaccio, alberi inutili che rubavano una consistente fascia di terreno alle colture. La politica, nel dopoguerra, ha sposato progressivamente questa tesi, autorizzando o chiudendo gli occhi sulle distruzioni. Anzi, spesso, addirittura accelerando il disastro. C’erano e ci sono precisi vincoli idrogeologici e ambientali a proteggere quei filari. Ma si sa quanto sia facile aggirare o ignorare i vincoli di tutela in que s to Pa e s e . Spe c i a lment e quando sono d’ostacolo al cemento.

Così, paradossalmente, contadini e palazzinari si sono trovati dalla stessa parte della barricata. Eppure si tratta di un elemento fondamentale per l’equilibrio ambientale dell’Agro Pontino e per l’economia agricola. Un elemento che nel piano originario di bonifica integrale non era stato previsto. Solo ad appoderamento a t t u a t o   c i   s i  è   a c c o r t i   c h e nell’Agro Pontino il vento è un nemico delle colture: che la violenza e la frequenza dello scirocco e del maestrale sono micidiali in una pianura totalmente aperta, dal mare alla fascia collinare dei Lepini, con danni alla produzione agricola e talvolta anche ai manufatti «valutabili a milioni già nei pochi anni decorsi dalla redenzione del territorio», come scrive nel 1939 Nallo Mazzocchi Alemanni, direttore tecnico della bonifica e noto a livello europeo come uno dei principali artefici della trasformazione del paesaggio rurale italiano. Si è deciso così di creare in tutta fretta la rete delle frangivento.

Le c a r a t t e r i s t i che  de l   t e r r i tor io avrebbero imposto una maglia molto fitta di filari, sia trasversali che perpendicolari alla direzione dei venti predominanti, come poi è stato fatto ad esempio in Sardegna, nella zona di Alghero-Fertilia. Ma nell’Agro Pontino si è stati costretti a seguire il tessuto che era stato ormai costruito sul territorio: i canali di bonifica, le strade, i confini poderali. Sono state realizzati, così, a cura dell’Opera Combattenti, tre diversi tipi di frangivento, detti di prima, seconda e terza categoria. La prima, la più importante, è quella che segue gli argini dei corsi d’acqua principali, a cominciare dal fiume Sisto, il canale Mussolini, il Rio Martino Acque Medie e i canali minori del loro bacino, con una larghezza variabile tra i 30 e i 60 metri e una lunghezza complessiva di 360 chilometri: veri e propri boschigalleria in prevalenza di eucalipti, acacie, pini e cipressi. La seconda corre lungo il tracciato delle strade: tre o quattro file di alberi su ogni lato, interrotte in corrispondenza delle corti delle case coloniche, per una lunghezza complessiva di 400 chilometri e sempre formate in prevalenza di eucalipti, pini e cipressi, ma anche, nei terreni più umidi, di pioppi e salici. Infine, la terza categoria, sui confini poderali: un filare doppio, uno per ogni lato, fatto di pioppi, salici, platani, olmi, gelsi. In totale, a progetto ultimato, oltre tre milioni e mezzo di alberi. La guerra ha impedito di completare il programma, che era giunto però a buon punto.

Poi, alle distruzioni del passaggio del fronte nel 1944, si è aggiunto il progressivo degrado del dopoguerra, alimentato dall’ostilità dei coloni e dalla speculazione edilizia. Ora vale la pena ed è possibile rimettere in piedi quel progetto? Beh, sicuramente ne vale la pena, sia come memoria storica, sia come elemento di equilibrio climatico, anche per prevenire e contenere le tempeste di vento che sempre più spesso si scatenano dal mare sull’Agro Pontino, surriscaldato dalla crescente mancanza di alberi. Ma, messa da parte l’inso – stenibile «nostalgia della bonifica», ci sono due condizioni perché un’operazione del genere possa assumere un valore condiviso. La prima è che la ricostruzione delle frangivento segni una netta inversione di tendenza nella politica urbanistica, ponendo fine all’assurda aggressione del cemento che sta divorando la pianura.

Non ha senso, infatti, piantare alberi e, nello stesso tempo, continuare a lasciare campo libero alla distruzione «palazzinara». Anzi, quegli alberi rischiano, in questo caso, di diventare un alibi sotto cui coprire ancora una volta gli interessi della speculazione edilizia ed immobiliare. L’altra condizione è che questo progetto sia l’inizio di un diverso rapporto tra Latina e il suo territorio: che diventi, cioè, non il «progetto di Latina» ma della «città pontina», di tutto quel vasto complesso urbano che, con Latina al centro, va da Aprilia a Terracina e dal mare ai Lepini, divenendo il simbolo del confronto e della collaborazione che finora sono mancati tra il capoluogo e il suo hinterland. Poi ci sono alcuni problemi pratici. Le trasformazioni selvagge subite dall’Agro Pontino negli ultimi decenni non consentono di riproporre e realizzare per intero il vecchio programma dell’Ope – ra Combattenti.

Ma una strada valida è stata già indicata, proprio nello spirito di quelle due condizioni. Forse pochi lo ricordano, ma nel 1982, in occasione del cinquantenario di Latina, la Lipu pontina, allora presieduta da Alberto Raponi, ha fatto dono al Comune di un progetto di massima per il recupero del canale delle Acque Medie, dalla zona pedemontana alla foce: si prevedeva di ricostituire, appunto, le fasce frangivento sulle due sponde, di tracciare una pista pedonale e ciclabile su almeno uno degli argini, di risanare l’alveo e di combattere l’inquinamento in modo da creare anche una via navigabile da percorrere in canoa o con piccole imbarcazioni.

Un progetto che, nelle speranze della Lipu, avrebbe potuto essere il preludio al recupero analogo di tutte le principali vie d’acqua della pianura pontina, stimolando non solo il risanamento ambientale, ma il colloquio e la collaborazione tra Latina, le altre «città nuove» e antiche realtà come Cisterna, Terracina, Norma, Sermoneta, Priverno e gli altri centri delle colline. Si potrebbe, allora, cominciare da quell’idea della Lipu. Con la stessa «filosofia». Proprio la mancanza di un confronto aperto e profondo ha fatto di Latina un capoluogo senza provincia e del territorio pontino una provincia senza capoluogo. E tutto questo crea debolezza. Quella debolezza per cui la crisi morde di più e le mafie trovano terreno più facile. Il recupero delle frangivento può essere un’occasione per cominciare a «fare sistema». Ovvero: il primo passo per far nascere, finalmente, il sistema della «città pontina», con l’ambiente come catalizzatore”.

Emilio Drudi

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Ago 02, 2011
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Antonio Rossi

Tratto dal Latina OGGI del 01/07/2011 a firma di A.S.: “Da alcuni giorni gli eucalipti delle fasce frangivento stanno perdendo il fogliame, un fenomeno fuori stagione che ha allarmato gli agricoltori e gli esperti del settore florovivaistico. A segnalare il fenomeno è stato Antonio Aumenta, noto vivaista di Pontinia. Aumenta, ha individuato il parassita che sta provocando la defoliazione degli eucalipti. Si tratta di una cocciniglia appartenente all’ordine degli Emiteri. La specie che ha attaccato le frangivento è molto pericolosa perchè, oltre agli eucalipti, sta investendo tutti gli alberi dei suoi tre vivai (Lungo-Appia – Lungo- Pontina e Mazzocchio) con danni incalcolabili. I parassiti, per il loro modo di nutrirsi e per la loro grande prolificità, ricoprono tutta la parte aerea del vegetale, dal tronco alle ultime foglie, per cui anche gli alberi di mole imponente possono essere portate al massimo grado di deperimento o fatte addirittura morire. Della questione si sta interessando anche l’assessore all’ Agricoltura Maurizio Ramati che presto promuoverà iniziative per affrontare il fenomeno della cocciniglia killer chiedendo l’intervento della Regione come è accaduto in occasione della crisi dei kiwi di Aprilia e Cisterna.”

Posted On
Mag 25, 2011
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Antonio Rossi

ERRATA CORRIGE Caro Emilio Drudi (autore dell’articolo su Latina OGGI) fa piacere sentir parlare di questi temi da persone diverse da Antonio Pennacchi con toni più pacati e da punti di vista diversi e questo è già un risultato merito comunque di Pennacchi che con la sua opera di divulgatore, storico e scrittore sobilla coscienze e conoscenze per il nostro territorio. Un’errata corrige, a mio avviso, è necessario quanto nell’articolo è scritto “Forse Pennacchi lo ha dimenticato, ma i primi nemici di quelle centinaia di chilometri di fasce frangivento sono stati i coloni: sì, proprio i pionieri e i figli dei pionieri assegnatari dei poderi dell’Agro Pontino. Sono stati loro a distruggerli in buona parte abbattendoli, incendiandoli, avvelenandone le radici con benzina e diserbanti”. Ecco Pennacchi NON LO HA DIMENTICATO, ma lo ha (ri)scritto (ri)detto decine di volte nelle sue invettive, nei suoi saggi e non da ultimo proprio nel libro “canale Mussolini” dove un accidente capitato ai Peruzzi è successo proprio per la negligenza e l’imprudenza dei coloni.

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