Ancora critiche all’architettra di Pontinia 1934-35

architettura

architettura

Nel costante aggiornamento e censimento delle fonti che parlano di Pontinia o del suo territorio, gli autori del portale pontiniaweb.it, segnalano un’interessante articolo coevo alla fondazione di Pontinia che suona quasi come un’invettiva sul modo di costruire. In particolare l’autore si sofferma proprio sull’architettura di Pontinia e fornisce spunti di riflessione e di critica spesso condivisibili. Senza inutili mediazioni per non rischiare di togliere o alterare enfasi e significati, riportino un estratto dove si parla proprio di Pontinia e del suo territorio. Buona lettura:

Di seguito è possibile consultare il testo e visionare le altre pagine disponibili in Google libri dove reperire informazioni anche su altri testi e dove acquistarli.

[…] Come sarebbe diversa la nostra storia edilizia se   ingegneri-capo delle grandi città provenissero dalla libera gara della vita, se fossero scelti per le loro eccezionali qualità e non per il normale travaso burocratico. A questo imperio della mediocrità si aggiungono i gravi pericoli delle sovraintendenze dei monumenti (quasi sempre tenute dai mté del movimento architettonico, teneri con le eccezioni classificate dalla storia e biliosi contro le eccezioni vive, che essi sono chiamati a classificare), si aggiungono le incognite delle cosiddette commissioni edilizie (dove brilla sempre il trionfo del luogo comune), i pericoli dei regolamenti municipali (sempre codificati per sanzionare legalmente sistemi abitudini e tecniche edilizie usate dalla generazione precedente).

Da questa triade è nata la teoria che l’«armonizzare» non dipende da sensibilità artistica ma soltanto dall’adottare una identica falsariga stilistica.
Da questa alleanza è nato il terrore per la semplicità, identificata come «povertà» o come «mancanza di decoro». E la conseguenza più assurda dei regolamenti è la costrizione di una monumentalità costosa e carnevalesca proprio nei casi in cui si viola il regolamento edilizio. Avviene
difatti che, per farsi perdonare un piano di fabbrica in più o per far accettare una irregolarità, ci si trovi costretti a impreziosire ridicolmente la fabbrica di marmi, di bugne e di nicchie pur di farla considerare «monumentale» e perciò passibile di eccezione.
A queste condizioni   per il libero sviluppo di una architettura minore in Italia, onestamente intonata al clima di vita del nostro tempo, si oppone una ragione più di ogni altra fortissima: la mancanza di una critica coerente.

Non parlo della critica Sústcnuta dalle riviste di architettura ma specialmente di quella di cui si occupano i quotidiani. Essa è fatta dal cronista anonimo e compiacente con la leggerezza di chi non conosce la responsabilità delle parole. Ha presa sugli animi del pubblico assai più delle motivate argomentazioni dei critici. Per effetto di questa generosità nei resoconti di cronaca, è stata esaltata come un’opera d’arte una culla che niente aveva di contemporaneo se non la data del calendario, sono state portate ai sette cieli certe colonie marine e certi uffici postali e certi edifici scolastici e mille altre costruzioni, notevoli soltanto per il fatto che rappresentano un contributo alla lotta contro la disoccupazione.

Che cosa si direbbe se in un resoconto di cronaca gialla il cronista dicesse: «molto giustamente la signora tal dei tali ha ammazzato l’amante geloso e petulante» o se si leggesse una frase come questa: «finalmente possiamo offrire» ai nostri lettori un bell’esempio di rapina a mano armata››? Mentre non si fanno apprezzamenti di questo genere nella cronaca gialla, sempre si fanno invece quando si parla di cose attinenti alle arti figurate. Si usano allora gli aggettivi «bello» e «magnifico» per qualunque mediocrità, e si confondono gli apprezzamenti estetici con la lode alle buone intenzioni. La confusione che ne deriva è tanto pericolosa nel campo dell’educazione artistica quanto sarebbe pericolosa una esaltazione della delinquenza nella cronaca gialla.

Noi domandiamo una cautela maggiore nelle lodi, una vigilanza nelle esaltazioni e quel senso di responsabilità e di coerenza che deve stare
alla base di qualsiasi principio critico, anche modestissimo. E se la coerenza è facile in teoria ma difficile nella pratica, siamo pronti a fornire una falsariga infallibile per giudicare quello che può essere considerato buono e quello che deve essere considerato cattivo: l’esame economico. Lasciamo, a pochi solitari il lusso di costruire senza badare alla spesa ma pretendiamo almeno nella architettura minore e negli edifici utilitari il più rigoroso controllo economico.

Questo principio non significa povertà ma rispetto del danaro, abolizione del superfluo, corrispondenza più esatta a quei concetti morali che fanno della nuova Italia corporativa una nazione di soldati che non amano le mollezze del fasto né le lusinghe delle adulazioni. Se si adotteranno questi princìpi etici nel giudicare l’architettura si sarà fatto un grande progresso e si comprenderà l’assurdo di tante costruzioni falsamente credute monumentali.

L’Italia è il paese che costruisce più di ogni altro in Europa, e non ha bisogno di falsificare le carte della storia con una monumentalità decorativa né con una opulenza artificiale. L’architettura italiana sarà tanto più nazionale quanto più andrà verso il popolo.
E andare verso il popolo significa anche rude chiarezza, gelosa amministrazione del danaro pubblico, esemplare semplicità. Saranno veramen-
te italiani della nostra era quegli architetti che avranno il coraggio della modestia.
Per dimostrare come sia urgente l’applicazione di questo concetto etico-economico nella valutazione delle opere di architettura, voglio valermi in modo particolare di alcuni progetti recentissimi apparsi sui giornali in occasione della fondazione del nuovissimo comune di Pontinia. È necessario ricordare che le premesse del comune di Pontinia, altra gloriosa tappa fascista per la redenzione della terra, sono quanto mai chiare: comune rurale pensato organizzato e costruito per comunità di agricoltori.

Genuino comune dell’Agro – così riferiscono i giornali- Pontinia non avrà, nelle sue modeste proporzioni e nella sua schietta semplicità, caratteri e funzioni che non siano tipicamente rurali: sarà il centro di gravitazione di un cospicuo numero di poderi nella zona estrema dell’attuale territorio bonificato e di quella che la bonifica conquisterà nell’im1nediato avvenire;
avrà dinanzi a sé, assai prossime, le cime più elevate dei Monti Lepini e guarderà agli abitati vetusti di Privemo, di Sezze, di Sermoneta che nella lontananza dei secoli si arroccarono sulle alture per sottrarsi al flagello che infestava la costa. La via Appia la collegherà direttamente a Terracina, e due radiali la congiungeranno a Sabaudia e a Littoria. Creata su un terreno piatto, a cui i riquadri regolari delle messi, dei medicai e degli orti di un fresco verde tenero sul fondo cupo delle zolle grasse danno sereno aspetto padano, Pontinia non mancherà neppure di qualche vago svolazzo nella sua cornice, di qualche elemento pittoresco e seducente.

Basta affacciarsi all’àlveo in cui scorre il fiume tracciato da Ascanio Fenizi per comandamento di Sisto V e sistemato e corretto dalla bonifica fascista, per prevedere l’utilizzazione urbanistica che si potrà fare di quel corso d’acqua. Il Sisto, nelle sue sponde regolari, ha esso pure l’ampiezza e la silenziosità grave dei canali della Padania. Una stradetta alberata correrà nel senso del fiume, e sarà il Lungosisto di Pontinia: nelle notti tiepide le comitive andranno alla passeggiata all’argine, proprio come nei paesi del Po della Bassa.
E un altro giornale, confrontando i tre comuni dell’agro pontino, ce: Pontinia è un elemento di trincea, come sono Littoria e Sabaudia: si respira qui, e si respirerà per decenni ancora, aria di guerra. Ma Littoria ha dovuto agghindarsi per la funzione di rappresentanza che le è stata riservata:
tutta una burocrazia deve per necessità insediarsi nelle sue nuove case, colle gerarchie del regime che l’ha creata: è stato quindi giuocoforza aggiungere ad una perfetta funzionalità gli svolazzi di un certo decoro.
Sabaudia col lago. col parco, col Circeo, col mare non poteva fare a meno di mettere in risalto codeste sue felici caratteristiche. Fondamenta rurali, come a Littoria, perché anche qui il buon tempo o il maltempo, l’abbondanza ola miseria li faranno non i piccoli commerci urbani oi turisti cercatori di impressioni e di colore, ma i settantamila ettari di semine che sono all’intorno: però la risorsa turistica, panoramica, archeologica (col museo che sta sorgendo) avranno pure la loro parte.
Pontinia no: Pontinia, la più rappresentativa delle tre sorelle, è tutta terra, è tutta odor di fieni, tepore di stalle, verdeggiar di medicai, biondeggiare di spighe.
Non ha cercate località romantiche come Sabaudia, per sorgere, né aspira al lustro rappresentativo di Littoria: si pianta tra le terre più grasse, dove il grano fa i trenta quintali per ettaro senza sforzo, dove i fieni maggenghi davano anche ieri sessanta quintali su ogni ettaro di prato naturale: e le vacche, nutrire dei rigogliosi medìcai di oggi, quando incominciano a dar latte non finiscono più. Nessuna delle altre due città pontine ha intorno terra cosi doviziosa.
Con queste premesse chiarissime la sensibilità di un architetto anche mediocremente allenato al proprio mestiere non poteva fallire. L’atmosfera morale, sociale ed economica del nuovo comune era nitidamente impostata e collimava perfettamente con quell’«orgoglio della modestia» che anima la fantasia di chi opera veramente per il nostro tempo.
Questo imperativo categorico avrebbe dovuto far presa anche nel cervello di quei funzionari che l’Opera Nazionale Combattenti ha chiamati alla gloriosa responsabilità, avrebbe dovuto imporre la sua forza morale costringendoli alla cautela, alla semplicità, alla più elementare razionalità. Si trattava di respirare almeno aria campestre, di comprendere almeno i tracciati stradali preesistenti con quella ingenua scaltrezza urbanistica che i «borghi» italiani offrono in migliaia di esempi, di evitare come la peste e il tradimento le retoriche decorative, le bizzarrie, le volgarità. Lìltalia poteva fomìre – e senza bisogno di concorsi – almeno dieci architetti capaci di questo e in grado di fornire il nostro paese di «opere d’arte» ben più vive e fasciste di quelle che a loro si domandano quando si deve allestire una esposizione. Ma invece per grettezza? Per evitare la volitiva personalità di un libero professionista? Per cogliere maggiori allori con l’allestimento di progetti in famiglia? – la nascita di Pontinia è stata affidata all’ufficio studi e progetti dell’0.N.C. al quale si è aggiunto come esperto di facciate «un ragazzo del G.U.F. studente di architettura». Di tutto ciò ci hanno informato i giornali, né io avrei da fare osservazioni se la scelta dell’on. Cencelli fosse stata coronata da quel minimo di risultati che il tema esigeva ed esige.

Chiamo a testimonianza le illustrazioni dei progetti e credo di fare opera ingrata ma giustissima accusando di incapacità artistica e tecnica quei funzionari che li hanno allestiti. Reato tanto più grave dopo la creazione di Sabaudia, viva, moderna e bella. Da queste illustrazioni apprendiamo che la chiesa di Pontinia avrà il campanile sopra la porta di ingresso come le chiese gotiche francesi e che una piramide di canne d’organo stilizzate alla maniera d’un porta-ombrelli risolverà la religiosità dell’edificio. Il solito cronista adulatore ci precisa persino che «a dare il senso delI’elevazione dello spirito avrà il campanile impostato sul timpano della facciata, particolare, questo, che le dà un senso di profondo misticismo».

E tutto questo senza contare il felice collegamento tra i fianchi a pflmste alte e strette, il portico di prospetto slegato e banalissimo, e il campanile a serbatoio. Il progetto del palazzo del comune (con la facciata rivolta a nord) testimonia a quali estremi degradanti può giungere un allievo avvezzato al plagio. La povertà della presuntuosa «invenzione» del colonnato cieco, l’assurda impostazione della torre, la pesante cornice denunciano non ruralità ma penosa incompetenza artistica.

La Casa del Fascio della agreste città di Pontinia si risolve in un’altra esplosione retorica, culminante nei due grandi fasci rovesci che fan da paraocchi all’ingresso. Eppure, di questo edificio un cronista adulatore scrive: «La Casa del Fascio e la caserma della   saranno abbinate e, se abbiamo ben compreso, riprodurranno nella loro unica struttura il profilo del fascio littorio: il fabbricato principale avrà, nella forma rettangolare allungata, le linee del gruppo di verghe, e la scure sarà il corpo aggiunto ed avanzato». Con questi simbolismi rocamboleschi è stata studiata la «rurale» architettura di Pontinia, con un crescendo che tocca, per ora, un massimo nella caserma dei carabinieri. Difatti, per evitare il pericolo che questa caserma somigliasse a una casa qualunque, la insaziata modestia dei progettisti ha pensato di travestirla con le pezze di Arlecchino e con le strisce delle casacche dei galeotti. La razionalità di questa farsesca invenzione dimostra da sola quant0 lontana dalla realtà,
quanto guastata dalle frasi convenzionali, quanto caotica e disorientata sia la sensibilità architettonica non dei funzionari soltanto ma anche di quei capi responsabili che credono di rendere un servizio al Duce e al fascismo sfornando tali mostriciattoli.
Il confondere l’architettura moderna con simili balorde scenografie, il credere che arte moderna significhi bizzarria o non-senso, il pretendere l’originalità ad ogni costo là dove è sufficiente l’onestà e la buona educazione, il volersi travestire da geni mentre abbiamo bisogno di costruttori attenti, diligenti e modesti: questi sono i pericoli contro i quali sta per naufragare l’architettura moderna italiana.
Il caso di Pontinia serva almeno a dimostrare come non si deve fare un piano regolatore e come non si deve costruire. E riconduca gli architetti italiani a quella sensibilità morale, economica e politica che, sola, può arginare le intemperanze di chi non è troppo docile ai freni dell’arte. [testo estratto da Architettura e città durante il Fascismo di Giuseppe Pagano]

Comments

Posted On
Mar 29, 2010
Posted By
Antonio Rossi

“Il caso di Pontinia serva almeno a dimostrare come non si deve fare un piano regolatore e come non si deve costruire. E riconduca gli architetti italiani a quella sensibilità morale, economica e politica che, sola, può arginare le intemperanze di chi non è troppo docile ai freni dell’arte.” Vista la situazione attuale in Italia l’ammonimento di Pagano è riamsto quantomai inascoltato e con il senno di poi nelel perfierie delel grandi città magari avessero costruito così male come il nucleo di fondazione a Pontinia! L’uomo è sempe uguale a se stesso.

Posted On
Mar 29, 2010
Posted By
Antonio Rossi

Ritengo che l’articolo, come anche indicato, sia coevo alal fodnazione di Pontinia ma non alla sua inaugurazione. L’autore, infatti, si sofferma sui disegni sul palsitico e sull’analisi del piano regolatore. Pur condividendo la critica e le premesse dalle quali muove non tutto è condivisiible. Molti degli stilemi architettonici d Pontinai si trovano variamente declianti in altre città e/o borghi di fondazione. L’assedio economico ed i fondi destinati a Pontinia hanno fatto il resto anche nella scelta dei proggettisti. Mi piace tanto invece il pezzo dove il cronista immagina il futuro lungo Sisto quale luogo di passeggio! Andetelo a vedere oggi! Anzi meglio di no! Eppure quell’idea potrebbe ancora essere realizzata ma quando manca la sensibilità e la volontà da chi potrebbe occuparsene a tutti i livelli sovrana regna l’abbandono con la complicità attivà dei cittadini di Pontinia.

Leave a Reply to Antonio Rossi