La storia del territorio dove sorge Pontinia

Gli autori del portale pontiniaweb.it pubblicano la scansione in formato PDF di un documento datato 1884 dal titolo “Bullettino dell’Istituto di corrispondenza archeologica per l’anno 1884″ dove un’ampia sezione è dedicata al rinvenimento nelle paludi pontine, il 2 Gennaio dello stesso anno, di una iscrizione sepolcrale che consente al ricercatore di addivenire ad alcune interessanti considerazioni circa la storia delle paludi pontine a partire dal 384 d.c. spingendosi a ritroso di diverse centinaia di anni. Uno studio che completa ed avvalora i più recenti studi che vogliono le paludi pontine in età remota non spopolate e molto diverse dallo stato in cui furono osservate e descritte da pittori e poeti e prima ancora degli interventi dei Papi

Di seguito è possibile consultare l’estratto del bollettino di interesse per le Paludi Pontine.

Qui di seguito, invece, il testo convertito che non risulta sempre di facile lettura ed interpetazione soprattutto per la ricostruzione delle iscrizoni, dei disegni. Si consiglia, pertanto, di consutlare il documento scansionarto orginale sopra riportato sicuramente più leggibile.

Il 20 Gennaro 1884 si scoprì in un luogo detto San  Donato presso Fogliano nelle paludi Pontine una grande  iscrizione sepolcrale, la quale fu poi da me copiata e che  ora presento accompagnandola di alcune osservazioni. È l’ iscrizione che, commossa da profondo dolore ed affetto, la  moglie pose ad Alfenio Ceionio Juliauo Kamenio v. e. ,sacerdote di vari culti pagani, consolare della provincia  di Numidia e vicario dell’Africa, morto nell’anno 385  dell’era nostra, e dice quanto segue:

Vi è dunque tutto, e nello stesso ordine, probabilmente  cronologico, come nella lapide sepolcrale ‘, meno il VICA-  RIO AFRICAE, cioè Kamenio era soltanto consularis  provinciae Numìdiae, quando impiegati del suo ufficio gii  posero una statua in bronzo nella sua casa in Roma. L’iscrizione fu trovata nel giardino del palazzo Barberini sul Quirinale, ove quindi è da supporsi che fosse la casa di Kamenio. Tuttavia è strano che, non essendo ancora Kamenio vicario dell’Africa, l’iscrizione Barberini parli di meriti di  Kamenio verso quella diocesi, la quale, com’ è noto, formata  da cinque province, stava sotto il governo del vicario.  La qual cosa forse si spiega così, che Kamenio anche dopo  esser uscito dalla carica di consularis provinciae Numi”     ‘ Adesso si vede anche che quel mag p se infatti non è diffe-  rente dal semplice patri sacrorvm. (ossia patri palrum) né. mhìQxì  di Mitra, come già aveva supposto il Mommsen confrontando un’iscri-  zione posta al dio Arimanio, cho dice magister et pater palrwn, cioè  preside nel più alto dei sette gradi mitriaci.   ‘ Cf. Oderici disscrlalion. p. 172, e più particolarmente la dedica  premessa dal tipografo G. Salomoni all’edizioDe separata della disser-  tazione relativa (Roma 1756).     60 II. MONUMENTI   (liae si trattenne in Africa , e che allora rese benefizi  a tutta la diocesi. Quando poi sia stato consolare di Numi-  dia, non si sa, ma era vicario d’Africa nel 381, come risulta  da un rescritto del codice Teodosiano {XI I 1,84) sulle  elezioni agii onori municipali indirizzato ad Camcnium  vicarium Africae, nel Febbraio di quell’anno.   Del resto poco sappiamo della sua vita. Quando aveva  25 anni, gli successe un fatto strano si, ma purtroppo non  tanto raro per quei tempi. In un periodo di superstizioni  e di decadenza generale dei costumi , vediamo numerosi  processi e inquisizioni per reati di magia, i quali ci rive-  lano piuttosto, come tutta quanta la società d’ allora fosse  infetta di simili errori, che non la seria intenzione di cor-  reggerli. Sotto Valentiniauo specialmente un certo Massi mi-  no, vicario di Roma, infuriò con siffatti processi contro tutti  e particolarmente contro pareccliie famiglie senatorie. Ed  era appunto nel 368 che, come dice Ammiano (XXVIII 1,27),  super his etiarn Tarracius Bassus, posteci urbi praefectus et  frater eius Camenius et Marcianus quidam et Eusaphius^  omnes clarissimì, arcessiti in crimen^ quod eiusdem con-  scii venefica aurigam fuvere dicebanlur Auchenium ‘, docu-  mentù etiam tum ambiguis suffragante absoluli sunt Victo-  rino, ut dispersus prodidit rumor, qui erat amicus Maxi-  mino iunctissimus.   Era, come dice anche l’ iscrizione stessa, di famiglia  nobilissima, noverandosi quella dei Ceionii tra le prime  famiglie di Eoma dalla fine del secondo secolo; quae fami-  lia hodie quoque^ Constantine maxime^ nobilissima est et  per te aucta et augenda, quae per Gallienum et Gordianos  plurimum crevit, come dice Giulio Capitolino nella vita  di Clodio Albino (e. 4), che a sua volta era Hadrumetinus  oriundo^ sed nobilis apud suos et nriginem a Romani s fa-   Auckenii y Anicius Auchenius Bassus era prefetto di Roma, nel  382 ed era cristiano come tutta la famiglia dei Bassi (v. Seeck  Si/iiììii’ichi op. p. xeni). Era forse un loro parente, ma certo non  identico col prefetto dol 382 il Tarracius Bassus de’ Ceionii .luliani,  il quale poi quando sia stato prefetto lui, non si sa. Un suo editto  molto singolare fu descritto dal Do Rossi DuìlMino d. Insl. 1853 p. 37.        ANTICHITÀ PONTINE 61   9/uim trahens, Postumiorum scilicet et Albinorum et Ceio-  niorum. Nel quarto secolo i Ceionii contano una lunga scric  di nomi illustri \ e anche fuori di Eoma si trovano parecchi  Ceionii alti dignitari, specialmente in Africa, come quel Pu-  hlilius Ceionius Caecina Albinus vir darissimus consularis  sexfascalis provinciae Numidiae circa 1′ anno 366 , che  arricchì la provincia di sì gran numero di fabbriche (v. C.1.L  Vili p. 1064), e un Cacionus lulianus ampUssimus pro-  consul d’Africa (371-373? in una lapide africana comuni-  catami dal sig.prof. Giov. Schmidt; v. Ephem. epigr. V p.350).  Nella famiglia dei Ceionii Rufi, ramo a quel che pare  anziano dei Ceionii, si usava di dare alternativamente al  padre e al figlio il nome di Volusiano e di Albino. Ora  nella linea dei Ceionii Juliani si osserva la stessa consuetu-  dine, inquantocchè presso il cronografo dell’anno 354 trovia-  mo un Ceionius Julianus Camenius, senza dubbio il nonno  del nostro Cameuio, come prefetto di Roma nel 343 ‘. E del-  l’ educatore di questo, come sembra, Maecilius Hylas, fu  rinvenuta l’ iscrizione sepolcrale nel cimitero di Priscilla  neir interno di una macerie (v. BuU. di archeol. crisi. 1882  p. 93) che qui ripeto secondo il calco gentilmente favo-  ritomi dal sig. Stevenson :   MAECILIOHYLATIDV amatori  LCISSIMONVIRITORICAE- bonoqvioìw   NESSVOSAM   lONIORVMFVSCIANECF abitcaris   ETCAMENICVQVIVIXITAAIN • ^’^^   LXXVMENXFECIT MAE   C I L I A ROGATADOMINOP A   TRIDVLCISSIMO^’_EI-LITO   Se questa iscrizione, come pare””, è veramente cristiana ,  sarebbe un documento molto singolare delle relazioni fra   ‘ L’albero genealogico di una gran parte di essi e composto  dal Seeck, Sijmmachi op. p. CLXXV.   ■ Sembra dunque che il nipote assumesse il gentilizio Alfenio  «lalla madre.     02 li. MONUMENTI   cristiaai e pagani prima dell’epoca di Gostautiiio; purché  Camenio stesso non fosse stato cristiano anche lui , e il  nipote all’ incontro fattosi propugnatore della religione  pagana ‘.   Questo è quanto sulle gesto di Kameuio e sui fasti  della sua famiglia mi è riuscito di raccogliere, e con esso  pare esaurito, quanto si può dire sul!’ importanza della bella  lapide di Fogliano. Ma la sua importanza vera , e molto  maggiore di quel che sembra, sta in un altro rispetto ,  di cui non ho parlato finora, in questo cioè che si è ri-  trovata in un punto lontano e quasi sconosciuto delle paludi  Pontine. Essa ci fa vedere che nel quarto secolo in quel  luogo deserto presso i laghi di Fogliano esisteva la villa  di un gran signore di Roma, che il luogo era non solo  abitabile e in commiicazione con Roma, ma altresì deli-  zioso e preferito soggiorno , giacché là precisamente la  moglie seppellì il marito; vediamo di più che una gran  parte delle paludi era di proprietà di Kamenio, anzi che  tra Anzio, il Circeo e la via Appia esisteva un gran lati-  fondo posseduto nel quarto secolo dalla famiglia dei Ce-  ionii Juliani. Ma per meglio provare ciò che a prima vista  può sembrare esagerato, converrà epilogare brevemente le  vicende delle paludi Pontine, parte anch’essa dell’Italia  ne la meno bella ed interessante, né priva di memorie  antiche ‘.   ‘ So bene che il Seeck crede ed ha tentato con molta sagacità  di dimostrare (Symmachi op. p. CLXXVII) che è da questo Julianus che  discese l’imperatore Giuliano l’apostata (nato nel 331), nel qual caso  il Kamenius sepolto a Fogliano sarebbe stato un suo cugino e forse  un figlio di quel Julianus, comes Orientisi zio dell’imperatore, il quale  insieme con quest’ultimo cambiata fede fu poi accanito avversario  dei cristiani, e morì nel 362 in mezzo ad atroci tormenti, come rac-  contano gli scrittori ecclesiastici. Però la cosa è troppo incerta.   ‘ Faccio voti che presto venga fuori il libro annunziato del De  la Blanchère, La Via Appia ci les Terres Ponlines, il quale autore, come  e garanzia il suo libro su Terracina, ci darà molti insegnamenti nuovi  ed importanti sulle paludi Pontine. Frattanto Nicolai , De bonifica-  menli delle Terre Pontine^ 1800, e Prony, Descriplion des Marais  Ponlines, 1822, sono le più rimarchevoli pubblicazioni sulle dette terre.     ANTICHITÀ PONTINE <33   Stando sulle vette dei monti Veliterni, o dei Lepiui,  che in lunga fila costeggiano le paludi Pontine fino a Ter-  racina, a Norma per esempio o a Sermoneta o a Sezze   pendula Pumptinos quae special S
etia campos  (Marziale XIEI ep. 112), o sulla cima del Circeo, si scuo-  pre una immensa pianura immersa in un silenzio di cimi-  tero, seminata di mille canali e dopo le piogge inondata  da vaste piscine, coi suoi sterminati campi oltremodo fer-  tili sotto i monti Volsci, con immensi pascoli nel mezzo  e colla maestosa foresta vergine di querce secolari lungo  tutta la spiaggia del mare. Una linea dritta passa in mezzo,   quae Pomptinas via dividit uda paludes  (Lucano III 85), la via Appia, piuttosto frequentata, ma il  resto è popolato solo da mandre di puledri e da greggi  di vaccine e di altro bestiame, con della gente che sparsa  per quella beata solitudine della macchia mena una vita  da selvaggi. Ora guardando giìi su questa grande pianura,  che tale è, sconosciuta quasi ma reputata fin dai tempi  antichi nient’ altro che stagni e miasmi, e dandosi intiero  alle bellezze di questo paesaggio singolare , uno sente  nascere spontaneo il desiderio di sapere qualche cosa della  sua storia e di veder risorgere i villaggi ridenti di cui  parla antica fama ‘. Ma scarse sono le memorie e pur  troppo spesso negano schiarimenti nuovi alla mente in-  dagatrice.   Stavano sott’ acqua un tempo e il monte Circeo era  un’ isola, come adesso si presenta a chi lo vede sollevarsi  sulla lunga macchia ; poi si alzarono e si colmarono colle  acque che in quel bacino si versano. Tracce di storia  primitiva ne abbiamo nella favola di Circe ; poi nel nome  di Astura, città certamente stabilita da Fenici e in tempi  ove forse a levante era ancora un golfo ‘ ed a tramon-   ‘ Ed anche di sbarazzarsi di quell’intreccio di confusioni creato  da una serie di scrittori sulle paludi Pontine, i quali senza conoscere i  luoghi, colle loro fantasie e mescolando quelle degli altri coi documenti  autentici, riescono a produrre sempre nuove mostruosità.   ‘ V. De la Blanchère, Mélanges de recale frane. 1882, p. 212.     64 li. MONUMENTI   tana sulle pendici dei monti Veliterni, che scendono lì  presso, abitava una popolazione operosa; ed inoltre il  nome di Terraciua sembra il nome etrusco della città che gli  indij^eui chiamavano Anxur. Dominavano nell’a^^ro Pontino i  Volsci, e bene si ricordavano gli antichi di paesi potenti  in epoca remota. Ma il solo avanzo di quella coltura pre-  sto estinta, che il suolo abbia conservato, è precisamente  sulle falde dei monti Veliterni fino a Conca un sistema di cuni-  coli, cioè fossi sotterranei che da cratere in cratere, di cui in  origine era piena quella terra vulcanica, portavano via le  acque e rendevano coltivabile la terra e sana l’aria, lavoro  talmente esteso, sistematico e colossale che si deve attri-  buire alla stessa epoca dei piccoli regni Volsci, i quali  sulle alture costruirono le maravigliose mura ciclopiche ‘.  Ma presto sopravvennero i Romani che da questa parte  cominciarono ad estendere i confini del loro territorio. Tar-  quinio Superbo assedia nel principio delle guerre Volsche  la « misteriosa » Suessa Pometia, ricca capitale dei Po-  menlini o Pomptini. Caduta questa, lo stesso Tarquinio,  raccontarono gli antichi, era in grado di mettere una co-  lonia sul Circeo sotto Arunte suo figlio, seguo che nello  spazio fra Suessa e Circeo, e dall’ altra parte tra Anzio  e le ancor potentissime città dei monti Volsci non incon-  trarono resistenza seria. Certo non vi doveano essere molti  paesi importanti, e quei coloni Romani presero probabil-  mente la loro strada per i boschi e per la spiaggia di  Fogliano ^   ‘ V. De la Blanchère, op. cil. \>. 94 e 207.   ^ In ogni caso è certo che Circei era colonia più antica dì  Anzio di Terracina. — Un sentimento di responsabilità verso la  tradizione di tanti secoli mi obbliga di rammentare anche qui che  Plinio liist. nat. Ili 9 dice di aver letto in un certo Muziauo che  un tempo esisterono 24 città nella palude Pontina. Ma sarà vero ? o non  si tratta piuttosto di una curiosità soltanto, di una lista forse di  denominazioni locali raccolte chi sa come e dove? Certo è che le  paluili erano dove più, dove meno popolate secondo la natura dei  terreni, ma non credo che su queste 24 città si debba fare un calcolo  statistico.     ANTICHITÀ PONTINE 65   Più di duecento anni durò la guerra accanita contro  i Volsci e contro i loro castelli, e fini solo colla presa di  Terracina e la conquista di Piperno nel quarto secolo a. C,  ma finì anche colla decadenza rapida del territorio Pon-  tino. Molte volte l’agro Pontino nel frattempo aveva for-  nito viveri ai Romani, e se adesso, dopo vinti i Volsci,  del loro dominio si formano due nuove tribìi e si danno a  queste non i nomi delle città, soggiogate, ma quelli di Pom-  ptina (358) e all’agro di Piperno quello di Oufcntina (318),  questo ci dà chiaro indizio di quel che formava il principal va-  lore del territorio conquistato. Ma quando nel 312 si costruì  la via Appia, quella strada ammirabile che sovrana attraversa  la pianura Pontina, questa non era piìi l’agro fertile ove  sotto la protezione delle forti città sulle colline confinanti  il lavoro paziente e assiduo di secoli e secoli avea potuto  regolare i corsi d’acqua, coltivare la terra e così anche  rendere salubre un terreno basso e umido. Perchè per le  guerre ogni cosa si trascura, le acque invadono dapertutto,  il paese si trasforma, si spopola; e la via Appia già è un  primo gran lavoro di bonificazione di una terra che gli  stessi Romani avevano ridotta a quello stato. Da quel-  l’epoca in poi le « paludi » Pontine hanno poco cambiato  aspetto; caddero anche spesse volte in abbandono, onde la  lunga serie di progetti e di lavori di bonifica dalla repub-  blica Romana e da Cesare fino a Pio Sesto ed a Napoleone:  in generale però furono più o meno quel che sono oggi ‘.   ‘ Le osservazioni di Strabene p. e. sullo stato fisico delle Pon-  tine sono abbastanza esatte ancbe oggi. Del resto non è compito mio  di trattare qui in particolare delle vicende Pontine. Solo rammento  che i tentativi fatti nell’antichità non meno che nei tempi dei papi  per bonificare le paludi sono stati molte volte parziali soltanto e che  perciò non si devono intendere troppo largamente le notizie che ne par-  lano. Si dice per esempio nell’epitome del 1. XLVI di Livio: Pomp-  Unae paludes a Cornelio Gdhego consuìe cui ea provincia evenerat  siccatae cujerque ex iis faclus (nel 160). Ma certo si accenna prin-  cipalmente a un ristauro della via Àppia, con bonificazione s’intende  delle parti circostanti, e la prova ne è questa. Demetrio, figlio di Se-  leuco, che si trova in Roma come ostaggio, fugge (nel 162) e per   5     06 II. MONUMENTI   Ora è naturale che in un vasto territorio come le  paludi Pontine, esposto per la natura della sua superficie  a continue inondazioni e mancante di una popolazione densa  e stabile, piccoli proprietari non potessero più sussistere.  Qui i latifondi sono soli in grado di rendere un frutto  da un suolo paludoso, ed è dunque per questo che dissi  essere stato il Kamenio non solo possessore di una villa  in mezzo a quel deserto, ma proprietario certamente di  una gran parte delle paludi. Di più quei possedimenti con  difficoltà mutano padrone e così a buon diritto credo si  possa affermare che per molto tempo i Ceionii Juliani  avessero grandi tenute nelle Pontine, come dal 1297 ad  oggi senza interruzione quelle stesse terre si trovano nel  possesso dei Caetani.   La lapide dunque che in Fogliano tornò improvvisa-  mente alla luce, e’ insegna che anche quindici secoli fa  alcune parti delle paludi Pontine erano in alcuni mesi  abitabili non solo ed abitate, ma eziandio erano luogo di  villeggiatura forse tranquilla, ma forse anche non meno  deliziosa del presente Fogliano. Era bensì sconosciuto il  luogo agli antichi, come lo è adesso, perchè i Romani anda-  vano a villeggiare presso Anzio e sul Circeo, e quando  dopo la morte di Tullia Cicerone si ritirò per qualche  tempo ad Astura, già si credeva perduto nella solitudine:
  Est hic qui.dem locus amoenus et in mari ipso, qui et  Antio et Circeiis aspici possit. – in hac solitudine carco   nascondere la fuga finge di andare al Circeo alla caccia del cinghiale :  èxeì y(CQ èntfxeXws eìuid^si xvvrjysrelv ròv vv f | ov xal xrjg ngòg ròv  Ilo’Av^iov ccvTM avytjd^eucg rì]v xccraQjfìjy yEvéaS^ai avvéneffe. dice Po-  libio (v. rei. 1. XXXI 12 e 19-“2’3), ma manda avanti i servitori con  cani e bagaglio non per la via Appia, che dunque era impraticabile,  ma per Anagni : éSérre^tl^ey et’g rài ‘Ayttyi’siag, awrci^ug Xa^óvrag ttl  X(ya x(d rovg xvyag ùrxuyjày énl rò KtQxcaoy. . . ori avuiui^ovaiy tcvroìs  xutà rrjy èniovauy tnì zùy 7TQO£tQ)]fÀéyoy rónoy. Si supponeva che  Demetrio stesso coi suoi compagni si sarebbe recato colà diretta-  mente, ma forse neanche lui andò per la via Appia; evasione del  resto molto somigliante a quella del pretendente Carlo Edoardo duca  d’Albany che finse di andare a caccia a Fogliano.     ANTICHITÀ PONTINE &1   omnium colloquio^ cumque mane me in silvam abstrusi  densam et aspcram^ non exeo inde ante vespemm. se-  cundum te nihil est mihi amicius solitudine, ineamihi  omnis sermo est cum iitteris ; eum tamen interpellai  fletus ecc. – si quis requirit cur Romae non sim: quia  discessus est; cur non sim in iis meis praediolis quae  sunt huius temporis: quia frequentiam illam non facile  ferrem. ibi sicm igitur ubi is qui optimas Baias ìiabehat  quotannìs hoc tempus consumere solebat – così scrive  ad Attico nel Marzo e nel Maggio del 45 *. È una soli-  tudine divina, la ciii influenza tanto subì Cicerone e  subisce chi oggi ha la fortuna di andare a Fogliano e di  passare alcuni giorni là nell’immensità della silenziosa  foresta, presso i magnifici laghi e sulla spiaggia del mare.  Non vide mai questa contrada grandi avvenimenti storici,  ma era lungo la sua difiìcile spiaggia che Cicerone, e dopo  altri tredici secoli Corradino di Svevia imbarcatisi ad Astura,  sperarono di sfuggire alla morte. Qui dunque stava la villa  di Kamenio, le cui tracce esistono tuttora uel luogo dove  fu scoperta la sua tomba e che subito mi farò a descri-  vere in poche parole. Qui suppongo, reduce dall’Africa,  passava Tinverno con sua moglie e coi suoi piccoli figli,  quando a Eoma ferveva la lotta religiosa e quando a Ter-  racina, sede del consolare della provincia di Campania,  Aviano Viudiciano avea testé adornato la città di statue e  ristaurato le terme (v. C. I. L X 6313. 6312), e quando  sulla via Appia ancora carri da Terracina trasportavano a  Roma lavacris publicis Ugna et caloem reparandis moe-  nibus (v. Simmaco, relaz. XL).   Presso la porcareccia di S. Donato, vicino al lago dei  Monaci, veggonsi sepolti sotto alberi secolari e sotto spine   ‘ Ep. ad Atl. XII 19. 15. 40 e veggasi poi anche pn* la vita in q^uei  luoghi, qutinto alcuni anni prima scrive da Anzio : sic sum compla-  xus olium, ut ab co divelli ìwn queam; ilaque aut libris nw delecto  quorum liabco Aneti fcstivam copiam, aul ftuctus numero – wwi ad la-  cerlas captaiulas lempeslaks non sunt idoneac : a scribejulo prorsu^  abhoiret animus {ad Alt. II 6).     08 n, MONUMENTI   impenetrabili dei ruderi antichi che si stendono per cen-  tinaia di metri. Un secolo fa stavano ancora in piedi gli  Archi di S. Donato; oggi quasi tutto quanto era sopra  terra, è sparito, e dal laberinto dei muri che qua e là  si scoprirono, riesce difficile dì farsi un’ idea chiara di  quel che anticamente essi fossero. Ma, quantunque sia im-  possibile di ritrovare e ricostruire la villa com’era p. e.  ai tempi di Kamenio, pur tuttavia bastano gli avanzi che  si vedono per dare almeno uno schizzo generale della  storia di questo luogo. Le prime opere sono antichissime.  Sono muri di bellissimo opus retinulatum in pietra cal-  care del Circeo, i quali in lunghi rettilinei con annessi  scompartimenti occupano tutti e due i lati di un pro-  fondo cavo detto Kio Martino, che ivi presso sbocca nei  laghi. Sullo scopo loro primitivo non può esservi dub-  bio. Stanno in relazione coi laghi e sono lavori idraulici,  destinati ad una raffinata piscicoltura in questi, come avrò  a spiegare piìi diffusamente in appresso. Altri grandi muri  vanno più addentro nella macchia, costruiti di pietre più  grosse. Lo stabilimento venne continuamente allargato con  nuovi materiali di diverso genere, ma conservò sempre il  suo scopo antico ; lo si vede dalle identiche costruzioni  di mura e di musaici che si trovavano e si trovano ancora  pure dall’altra parte dei laghi, cioè sotto il cosidetto tum-  moleto ossia sotto la duna che separa i laghi dal mare,  e simili costruzioni esistevano nel lago stesso di Capro-  lace, che oggi è un pantano orribile. Nel medesimo tempo  il luogo serviva di dimora al suo proprietario, amico sup-  pongo anch’esso della solitudine, giacché vi si osservano  non fabbriche isolate, come converrebbero ad un villaggio,  bensì, tra costruzioni tutte connesse, per esempio stanze  sontuose e rimarchevoli bagni. E in uno scompartimento  precisamente di questo genere si rinvenne una iistula di  piombo coir iscrizione che ci fornisce anche il nome di  uno dei primi proprietari di S. Donato. L’iscrizione {C\  I. L X 8296) dice:   SILANAE • M • F     ANTICHITÀ PONTINI-; 09   intorno alla quale giova ripetere che dagli scrittori è ram-  mentata una Silana soltanto, cioè la Junia Silana di cui  parla Tacito, insignis genere fwna lascivia, ricca, mari-  tata con C. Silio e nel 47 d. C. da lui separata, prima  amica di Agrippina, che poi odiò, perchè Sextium Afri-  canum nobilcm iuvenem a nuptiis Silanae deterruerat  impudicam et vergenteni annis dictitans , poi nel 56  mandata in esilio e morta a Taranto prima del 59. Infatti  parrebbe che la Silana di S. Donato fosse la stessa.   Dei bolli di mattoni che tra i ruderi si raccolgono,  il più antico sembra essere quello che da più esempi  benché rotti o imperfetti si riconosce identico coli’ altro  del C. I. L. X 8042,36 (Pompei, Capua, Ostia) :   TI CLAVDI • AVG • L • POTISCI • X V ■ 2^   col quale si deve confrontare il bollo 8043,76 POTISCI • ^ ^cum   AVG • L trovato presso Treponti. Poi ancora del primo  secolo 8043,52 (Fondi, simili a Velletri, Sermoneta, Pisci-  nara) :   APOLLONI • DOMITI – LVPI Z ‘^ Lf   scritto in circolo e perciò le lettere che stanno nel cen-  tro cioè: ^f> ^ colla L sopra I • D, lette male sul mat-  tone di Fondi. Un terzo fu descritto e attribuito al prin-  cipio del secondo secolo dal De la Blanchère (v. C. I. L. X CCC^  Addii: ad 8043,67; Velletri, Anzio) :   STAT • MARCms – DEMETRIVs fec. (   Di epoca buona ancora il frammento : sNfflT I e in ultimo   un bollo in caratteri più recenti, scritto in circolo, colle  lettere rivolte verso il centro e colla M nel mezzo:   M-IVCVNDI X’^’   Veniamo al terzo secolo. Una strada regolare che pas- C<Xt^*A/U.  sasse per S. Donato, dovea essere di incalcolabile valore ‘ a   per tutte le paludi da quelle parti ; e ne fu fatta una da  Anzio a Terracina, quando Settimio Severo completò la linea  littorale del Lazio e della Campania ; ma oggi soltanto     70 II. MONUMENTI   qualche raro pezzo di selce s’incontra sparso per la macchia.  Durante tutto questo periodo e per il tempo che segue  ancora, i successivi padroni di S. Donato non tralasciarono  niente per abbellire questo loro soggiorno. Ne fan fede  fra altre cose, come musaici, pavimenti in opus spìcatum,  stucchi e via discorrendo, una quantità inaudita di marmi  preziosissimi di cui il suolo è pieno dapertutto, di ogni  specie e di ogni forma, in parte pure con ornamenti sot-  tilissimi. Anche in epoca bassa portarono a S. Donato con  molta fatica e non minore spesa quanto sembrava poter  aumentare lo splendore di quella dimora, perchè abbon-  dano marmi a spessore disuguale: come pure l’iscrizione  di Kamenio da un lato ha lo spessore doppio che dall’altro  (m. 0,04G e 0,023). Ma ben presto cominciò man mano
  la decadenza dei vasti edifizi. Sia che non servissero più  tutti al loro uso primitivo, sia che altri bisogni o desideri  cagionassero nuovi lavori, le antiche fabbriche si demoli-  rono per le nuove costruzioni ; l’assoluta mancanza di ma-  teriale nel territorio Pontino e la difficoltà di portarlo sul  luogo d’altrove, fin d’ allora nel corso dei tempi fecero  sparire quasi interamente in tutte le paludi ogni traccia  di antichità.   La stessa tomba di Kamenio offre un notevole esempio  di questo deperimento. La lapide, una bella lastra di marmo  (m. 2,75 X 1,21) con due buchi tondi alla parte sinistra ‘,  stava, come dagli operai fu scoperta, a fior di terra, in pia-  no, colle linee parallele al lato lungo della cassa e rivolta  verso il mare; riposava su della terra, e siccome questa non  erapiva tutto il vuoto sotto di essa, la lapide in alcune  parti a sinistra si era spezzata. Ma per fare la tomba, che  è cavata nel suolo vivo, aveano dovuto rompere (circa  mezzo metro sotto il piano dell’iscrizione) un pavimento  di bellissimi marmi, il qual pavimento a sua volta era   ‘ I due buchi stanno iù mozzo al rettangolo (m. 0,85 X 1,21)  rimasto libero a sinistra dell’iscrizione ed erano destinati forse poi-  libazioni funebri. La prima riga è lunga m. l,5fi, l’altezza dello let^  tore è di m. 0.0 1- n O.O-^O.     ANTICHITÀ PONTINE H   fatto con materiale impiegato prima per altro uso, giacché  vi erano delle lastre con ornamenti sulla parte i-ovesciata  e perfino segmenti di colonne. Avevano poi sfondato un  altro pavimento di calcinaccio (circa m. 0,56 più sotto e  m. 0,30 sopra la cassa stessa) che con pilastrini di mat-  toni reggeva il pavimento superiore. Finalmente la cassa  (m. 2,03 X 0,62 X 0,45), chiusa di sopra parte con marmo  parte con tegoloni coperti di calcinaccio, era composta di  lastre di marmo di inegual forma e grandezza, raccolte  sul luogo e in parte lavorate, ed incastrate in un calci-  naccio ora durissimo, senza neanche tagliare quanto oltrepas-  sava la misura (p. e. m. 1,30 X 0,45 invece di 0,62 X 0,45).  Degno del resto di special menzione è che la lastra di  fondo (m. 1,71 X 0,60 X 0,05) era una bellissima tavola  coi cavi pel giuoco delle pallottole, come se ne vedono tante  al foro Romano, ma tagliata apposta e scolpita con tal  cura che certo è di molto anteriore ai tempi di Kamenio ‘ .   D’ ora in poi la distruzione dì S. Donato fa rapidi  progressi. Dacché i primi possessori con immense spese  aveano fatto l’impianto di quelle sontuose fabbriche e  accumulato nel bel mezzo della palude monti di materiale,  i secoli seguenti con tutto il commodo loro se ne servi-   ‘ La riproduco qui perchè di pubblicazioni di cotali tavole la-  sorie conosco soltanto quella del compianto P, Bruzza negli Annali  d. I. 1877 iav. d’agg. FG n. 26, dove all’ultimo buco è apposta la  sigla F, ma mancano le solite due righe a capo. Eccola dunque:      Una cosa però che non mi spiego si è che questa tavola non era  rovesciata, ma il corpo del defunto riposava sulla parte scolpita di  essa.     73 11. MONUMENTI   rono, e specialmente per le nuove fabbriche di S. Donato  stesso. Quindi anche quella immensa confusione di demo-  lizioni e di costruzioni di diverse epoche, che desta nel-  l’anima un sentimento di profonda malinconia, quando in  quel paesaggio deserto e ridente si guarda il continuo de-  perire e rinascere dalle antiche rovine ‘. L’ultimo segno  di vita a S. Donato, e nello stesso tempo il primo monumento  cristiano in quelle contrade lontane, è la rappresentanza  di una croce con sopra due uccelli che mangiano V uva,  scolpita in rilievo sulla metà inferiore della superficie ot-  tenuta col tagliare di sbieco una bella colonna. Il eh. De  Rossi in essa riconobbe l’impronta dell’ ottavo secolo, e a  giudicare dalla striscia sporgente nel mezzo pare che, ve-  nendo fuori orizzontalmente da un muro, abbia servito come  leggio. Poscia le pareti rovinarono una dopo l’altra, si staccò  pietra sopra pietra e si frammischiò colla terra; grandi  incendi, dì cui si vedono dapertutto le tracce nelle pietre  corrose e nell’arena vetrificata, distrussero il resto, e  così le antichità Pontine, condannate a lenta mina come la  bella Ninfa, non ebbero miglior sorte che le antichità di  altre parti. E quando in una bolla di Gregorio VII una  linea di confine si dice passare ad Riguum Martinuin et  per Flumicellum S. Donati usque ad Fucem fullani, cer-  tamente vi erano soli operosi pescatori nei laghi di Fo-  gliano, e gli Archi o il Castello di S. Donato, come dicono   ‘ È naturale che in questo stato laberintico dei ruderi sia inu-  tile di esaminare e descriverne qualche tratto più particolarmente,  finché non sieno fatti degli scavi più regolari e presane la pianta;  come anche non mi tratterrò qui a parlare dei piccoli oggetti che in  numero pur troppo scarso si rinvennero. Né mi fermerò sulle anti-  chità di altri punti delle paludi Pontine di cui in ogni caso gran  parte è da presumersi che abbia avuto relazioni col centro del lati-  fondo di S. Donato; forse un’altra volta avrò l’occasione di trattarne  più esattamente. Aggiungo intanto solo il bollo scritto in circolo di  un bel mattone del primo secolo, proveniente da Piscinara, parte ora  delle più paludose e meno abitabili, il quale dice: CN • pompi • iflRM •  L’istesso bollo esiste nel museo di Parigi (comprato a Roma), come  mi indicò il eh. Dressel.     t//,V ^     ANTICHITÀ PONTINE 73   antichi documenti , erano ricovero di alcuni pastori sel-  vaggi nascondiglio di briganti ‘, e solo ogni tanto depre-  dati di materiale per far la calce, per fabbricare un tu-  gurio per adattare una strada.   Kesta ancora a spiegare un monumento di straordi-  naria importanza e che, dagli ultimi anni della storia di  S. Donato riconducendoci ai suoi primordi, finalmente pare  ci riveli anche in modo autentico il nome antico del luogo.  Non lungi dal sepolcro di Kamenio, sulla stessa piccola  altura a destra del Kio Martino si rinvenne nel medesimo  tempo quest’altra iscrizione o piuttosto frammento d’ iscri-  zione, rotto in due pezzi già, da molto tempo e che gia-  ceva tra terra, pietre e frantumi d’ogni specie * : ^   j L ■ PHAEjNI PP VS • Ij   LVDENTIVM -^^T-SVBSTRVCI   I DESVAPEQJ^AG|CVR j <y^ •(   I magnifici caratteri ricordano subito i primi tempi  dell’epoca imperiale, il testo poi dimostra che si tratta di  opera pubblica. Ma Fenippo era libertus e per conse-  guenza i lavori li fece in nome di qualche municipio, eoe  decreto decurionum. E siccome dopo il nome di P/iaenippus  nella rottura si riconosce ancora la metà di un I, cosa che  non può essere che il resto di un titolo, potrassi supplire  con probabilità: IIIIII-VIR-AVG. Ma che saranno state queste  opere che egli, liberto, fece non per sé, pare, né certamente   ‘ Anni fa vi furono trovate una quarantina di monete d’oro,  le pili colla leggenda Joana et Karolus-SicU- Hispaniarum fìeges. Con  questo fatto punto sorprendente si confronti ciò che dice Giovenale,  sat. Ili 305 : iiUerduin (a Roma) et ferro subiius grassator agii rem,   armato quoties tutae custode tenentur   et Pomplina palus et Gallinaria phius,   sic inde huc omnes tamqiiam ad vivaria currunt.  ‘ La lastra (m. 0,’7UXO,30) colla faccia rovesciata fyrraa un ret-  tangolo perfetto, mentre sa quella che contiene l’iscrizione, è assot-  tigliata intorno, di maniera che anche qualche pezzo di lettera è sal-  tato via; onde deduco abhia , col resto ancora perduto, sei’vito da  lastra di pavimento. Le lettere sono alte m. 0,085. 0,04’7< 0.043.     /4 11. MONUMENTI   pel SUO antico padrone ? In ogni caso non già edifizi, come  ne fabbricò la munificenza di ricchi personaggi nei piccoli  paesi, non templi, terme, portici o macello, neanche cam-  pum ubei Ivdunt. Invece la natura del luogo mostra evi-  dentemente che gli interessi di un municipio — e i più  vicini sono quelli sulle montagne Volsche — in un pun
to  così lontano ed isolato erano interessi di bonificamento.  Il fatto non è singolare : Sermoneta p. e., dacché le acque  torbide del sottostante circondario di Piscinara per paura  di colmatura dei canali furono escluse dall’ultima boni-  ficazione Pontina e perciò obbligate a stagnarsi, da quel  paese di deliziosa villeggiatura che fu per i secoli addietro,  è decaduta in rapida rovina e adesso ridotta a qualche cen-  tinaio di abitanti: nella statistica della popolazione Ser-  moneta è ora l’ultima città in tutta l’Italia. Difatti da  quando Cesare pensò di deviare addirittura il Tevere verso  Terra cina e farne il canale raccoglitore delle acque Pon-  tine ( V. Plutarco vita Caes. 58 ), le paludi che richieg-  gono incessantemente correzione dei corsi d’acqua, rimasero  trascurate ossia, come le descrive Vitruvio (I 4,12), stando  putrescunt et humores graves et pestilentes emittunt. Si  tratta dunque di lavori di bonifica, di correzione di acque  che a S. Donato sboccavano : e tali lavori infatti esistono  ancora. Precisamente a S. Donato, venendo dal centro delle  paludi termina un canale, lavoro antichissimo e grandioso,  ed è il Rio Martino. « Comincia dal Passo di S. Donato (in  un punto che sta 7 m. incirca sul livello del mare), recide  per lunghissimo tratto la collina (che si eleva quasi a  20 metri), e giungendo sino alla pianura, o valle contigua  dei laghi de’ Monaci, Fogliano ecc. va al mare. Il primo  piano di questo cavo che forma il fondo del canale, è largo  dove 50, dove 60, e dove 70 palmi ; avvenne che per sca-  varlo fino alle mura di S. Donato stesso facesse d’uopo  cavare gran quantità di terra, la quale servì per fare al  medesimo una forte arginatura ; . . gli argini sono alti sopra  il piano della campagna dove più, dove meno palmi 25, e  nel mezzo della recisione della collina la profondità del     ANTICHITÀ PONTINK 75   cavo dal ciglio degli argini è di palmi 70 incirca », come  lo descrive nel 1759 il geometra Sani (nel Ragionamento  istorico sul Rio Martino di Innocenzo Fazj, 1771, che  tra tante carte relative alle Pontine ritrovai nell’archivio  Caetaui). Questo canale dunque sembra fatto apposta per  finii-la una bella volta con quelle acque funeste e condurle  direttamente al mare, ove adesso s’avviano pigramente giù  verso il Circeo e Terracina girando attraverso tutta l’im-  mensa pianura. Eppure a quest’uso il Eio Martino non ha  servito mai. Colla sua forte pendenza tre volte maggiore  di quella del presente fiume Sisto, e costretto di attra-  versare^ un terreno tutto arenoso, avrebbe presto interrato i  laghi dove sbocca, o ostrutto il proprio cammino. Tant’ è vero  che per questi riguardi tutti i grandi lavori di bonifica  lianuo lasciato da parte questo emissario già esistente, per  non distruggere i laghi e danneggiarne la lucrosa pesca. Ma  per giudicare meglio a che cosa mai servisse il Rio Mar-  tino, occorre aggiungere qualche notizia sulla configura-  zione del suolo Pontino fino al primo secolo. Da quando esi-  steva la via Appia, essa fu sempre l’antemurale d’appoggio  per i collettori delle acque sparse ; onde pel Decennovium  (v. C. l. L. X 683 seg.\ per il tratto cioè di XIX miglia  tra Poro Appio a Terracina, dove veramente si dovea com-  battere per vincere la palude, già fin dai primi tempi un  canale lungo la via Appia raccoglieva le acque per ver-  sarle nel mare insieme coll’Ufente. Restavano però le  acque superiori del fosso di Cistemn, della Teppia e del  fiume Ninfa, le quali anticamente avoano il loro sbocco da  un’altra parte. Lo dice Plinio [hisl. nat. Ili 9), ove se-  guitando per la costa del Lazio enumera Antium colonia.  Astura flumen et insula^ fluviufi Nj./mphàeus^ Giostra Ro-  mana, Circeii, vale a dire che nei dintorni di Fogliano  quei fiumi si versarono nel mare sotto il nome comune  di fiume Ninfa. Tanto più dunque si ripresenta la do-  manda, a che cosa servisse allora l’alveo artefatto del Rio  Martino e sino a qual punto si potesse dire un’opera di  l)onifica. Era un nuovo letto scavato per i fiumi supe-     70 li. MONUMENTI   riori? Ingegneri perfetti come gli antichi Komani non  avrebbero impreso quell’immenso sterro per poi abbando-  narlo a causa delle acque torbide che formano la maggior  parte dei detti torrenti. E se p$r conseguenza vi incana-  larono solo le acque chiare, quelle cioè del fiume Ninfa  propriamente detto, le cui sorgenti limpide sono nella città  di Ninfa, perchè allora scelsero un progetto che si limitò  a regolare le acque chiare soltanto ? Inoltre come già dissi  più sopra, le più antiche costruzioni di S. Donato hanno  tutto l’aspetto di lavori idraulici. Numerosi avanzi di muri  in opus reticulat.um coetanee alla iscrizione circondano il  Rio Martino e lo ricevono dove uscendo dalle colline si  perde nella sabbia e nella paludosa valle tra i laghi dei  Monaci e di Caprolace. Perciò nessun dubbio che il Rio Mar-  tino e i muri non stiano in relazione l’uno cogli altri e che  ambedue non fossero fatti allo stesso scopo. E altresì queste  costruzioni sono in relazione coi laghi che a loro volta sono  attorniati da costruzioni consimili. Trattasi dunque di opere  ad uso di grandi piscine di lusso, essendo la coltura del  pesce uno dei maggiori divertimenti che gli antichi si co-  noscessero. Sappiamo molti particolari di questa passione  e quanto si fece per il perfezionamento di detta coltura  nei laghi della Campania, ove dei laghi Pontini non è da  meravigliarsi, se gli antichi ne sanno tanto poco quanto i  moderni ‘. Prima di tutto occorreva la comunicazione  coll’acqua salata del mare, perchè le piscine dolci si sti-   ‘ Leggasi per esempio presso Varroue [de re rusl. Ili 17) la  ilescrizione delle piscine di Ortensio al quale non minor cura erat d<;  aegrotis piscibus quam da minus valentibus scrvis. Ci spesero somme  enormi: potius marsupium domini exinaniunt quam impknl. Loculi  distinti separavano le diverse specie. Ortensio poi aveva grande atten-  zione che non frigidam aquain bibereni sui pisces^ elenini hac incuria  laborare aiebat M. Lucullum et piscinas eius despicicbat, quod aestivaria  idonea non ìiaberet ac residem aquam in locis pestilenlibus liabitareni  pisces eius. Gettava salsammla nelle sue piscine cum mare turbarci.  Delle costruzioni che circondavano questi laghi, se ne osservano an-  cora grandissimo numero al lago di Paola, dove tra le altre cose c’è  pure una foce murata.     ANTlCniTÀ PONTINE il   mavauo plebee. A tal uso servì e serve anche oggi in  tutti i laghi del littorale una foce clic traversa la duna e  che in tempo di piena nei laglii versa l’acqua nel mare e  per la quale a vicenda anche il mare può entrare. Di una tale  foco murata pure alla Torre di Fogliano si vede sotto la  sabbia qualche scarso indizio. Aveano perfino pensato certe  cateratte qicae reciproce jlucremt , per regolare il flusso ed  il riflusso da questi laghi, come ancora in bassi tempi al  lago di Paola sotto il Circeo (v. C. I. L X 6428):   L • FABERIVS • C • F • POM • MVRENA   AVGVR • mi • VIR • AED •  AQVA-QVAE-FLVEBAT-EX-LACV-CONLEGIT-ET-SALIENTEM-IN LACV REDEGIT   D • S • P • F • C   Di questo genero adunque sono i ruderi a S. Donato  e ai laghi. Stabilito questo fatto, il Rio Martino colle sue  acque limpide del fiume Ninfa trova anch’ esso piena spie-  gazione. Affinchè nella stagione asciutta non r esidem aquam  in locis pestilentibus habitarent pisces, ci volevano le aestl-  varia idonea, cioè una conserva d’acqua dolce e chiara, e fu  d’uopo aprirvi un canale che, munito di adatti meccanismi  alla presa e allo sbocco, potesse fornire i laghi dell’ acqua  fresca che pel mantenimento di essi bisognava. Adesso,  come è noto, il Eio Martino è abbandonato ‘ e ne fa le  veci il fiume Astura, che nell’estate si chiude con un argine  e si obbliga a mandare la sua acqua nel lago di Fogliano  pel fosso detto di Mastro Pietro.   Ma vediamo che cosa abbia di comune la nostra iscri-  zione coi la
vori che, come abbiamo trovato, alla natura dei luo-  ghi si addicono. Se era Fenippo che per introdurre un corso  d’acqua fresca nei laghi di Fogliano aveva raccolto le acque  provenienti dalle sorgenti di Ninfa e asciugando cosi i  campi del suo municipio avea chiuse le acque tra le sponde  del cavo traforato attraverso le colline, allora è manifesto  che le lettere -VDENTIVM dell’ iscrizione non sono   •   ‘ Non so, quando abbia cessato di funzionare e sia divenuto  secco. Certo è stata una grande impresa, forse di Traiano, ad imita-  zione del progetto di Cesare, quella che raccolse e diresse versi» la  spiaggia tra Terracina ed il Circeo anche lo acque superiori, di gui-  suchè adesso passano trasversalmente sopra il Rio Martino e il fluvius  Nymphaevx non esiste più.     78 li. MOXUMENl’I   altro che il resto di CLVDENTIVM e che presso a poco  avrà detto: MOLEM- AGGERVM • FLVMEN- CLVDENTIVM,  cioè frenanti l’acqua, come longus in angustum clauditur  Hellespontus secondo Ovidio ‘. È la parola SVBSTRVC la ri-  ferisco a quell’altra parte dei lavori, i quali gli uni e gli  altri si completano vicendevolmente, cioè alle sostruzioni  degli stabilimenti intorno al lago e ai lavori, di cateratte alla  foce, e con certezza supplisco almeno : SVBSTRVCTIONES.  Ed eccoci dunque giunti ad avere spiegato in qualche ma-  niera questa mutila iscrizione o ad aver dato piuttosto una  idea generale dei lavori che essa secondo l’esame dei luoghi  sembra ricordasse *.   Però qui non finisce l’importanza dell’iscrizione : essa  risolve definitivamente una questione di topografia Pontina.  Dal passo surriferito di Plinio si vede che tra l’antico letto  del fiume Ninfa ed il Circeo vi era ancora un luogo chia-  mato Giostra Romana, il quale come stazione della via Se-  veriana si dice sem]>lÌGemente Closlra negli Itinerari. Ora  è evidente che dai giganteschi lavori di Fenippo, che primo  fece di quella regione la sontuosa dimora di tanti secoli,  il luogo abbia preso anche il suo nome e si sia chiamato  Cìostra dalle aquis coUectis addita daustra, per variare  il verso di Virgilio.   E notevole però e richiama speciale attenzione l’es-  sersi detto fin da principio espressamente Clostra Roma n a.  Almeno è un fatto del tutto singolare che allora tal deno-  minazione si desse a qualsiasi genere di opere. Prima di  tutto questa circostanza mi spinge a credere che Fe-  nippo, quantunque per i suoi possedimenti appartenente  ad un municipio ed ivi ornato della dignità di seviro augu-  stale, pur tuttavia fosse d’origine llomana, fosse qualche  personaggio ricco di Roma. Certo dovea essere ricco assai  per poter fare eseguire opere di tal misura ed estensione.  Allora viene spontaneo il sospetto, sia stato addirittura un  Augusti libertus in quell’epoca di prepotenza e di inau-  dita ricchezza di liberti imperiali ; e se è permesso di pro-   ‘ Si confronti ancora C. I. L. IX 3351: aquan Venlinain exs. e.  cluderuìarn . . . curarunt.   ‘ Un alveo somigliante molto al Rio Martino è il Fosso di Gor-  golicino, il quale forse nello stesso tempo scaricava lo acque torbido  superiori; ma per ragionare con esattezza di siffatti lavori ci vuole  uno speciale esame tecnico.     ANTICniTÀ PONTINE 79   seguire ad arrischiarsi in congetture, che sia stato liberto  di Claudio ‘, imperocché di Ti. Claudi Aug. l. Polisci è il  pili antico bollo di mattone fra i ruderi di S. Donato; e  poi padrone anche egli dei laghi e dei dintorni, poiché coi  lavori d’ utile pubblico unisce interessi privati di delizia  e di lucro, forse donato del latifondo dallo stesso liberale  imperatore Claudio. Dall’altra parte anche la maniera di  costruire può aver contribuito a dare il nome di Romana  alle Giostra, che con tanto dispendio sorsero in una cam-  pagna prima deserta e tranquilla. L’opus reticulatum è in  tutto somigliante a quello della capitale ‘, ed è cosa cono-  sciuta l’influenza che il gusto di Roma ha avuta nelle fab-  briche della provincia proprio in quel breve “periodo che  durò la forma semplice del reticolato.   Tanto basti per illustrare alcun poco anche la bella  lapide che un giorno fregiò qualche parte eminente dei  vasti e lussuriosi edifizi che col Rio Martino, se piace.  Ti. Claudius Aug. l. Phaenippus iiiiiivir Aug. aveva fatti  de sua pequnia, a benefizio del suo municipio e per proprio  commodo e piacere. Molto ancora saremmo curiosi dì sa-  pere, qual era p. es. la sua relazione con Silana, che tro-  viamo nel possesso delle Giostra quasi nel medesimo tempo;  e come dopo passò in altre mani e venne ad essere di  Kamenio. Ma troppo già mi diffusi e mi smarrii in cose  abbastanza conosciute o troppo oscure, pel grande affetto  alle vicende di una terra incantevole ed ai suoi attuali  possessori.   A. Elter.     ‘ Noto che anche lo spazio rimasto avanti la L (cni. 2) sembra indi-  care una lettera aperta che abbia rinchiuso il punto che precedeva  la L, e che il supplemento ti • clavdivs • avg • darebbe una lun-  ghezza della parte sinistra mancante uguale alla lastra conservata;  che finalmente col supplirò inni • via • avg • la terza riga, che pare  completa, occuperebbe il centro preciso.   ‘ Ecco come è in alcune teste di muro sporgenti dalle fonda-  menta della porcareccia e ben conservate: piccoli i coni , di pietra  calcare, i cantoni di tufo rossiccio tagliato a forma di grossi mattoni,  nell’interno op?w funim con molto tufo e calcinaccio di arena di  fiume, senza pozzolana pare, le pareti con tracce di arricciatura.

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