Con i pittori nelle paludi pontine #11

Giovanni Costa detto Nino - Le paludi Pontine

Giovanni Costa detto Nino - Le paludi Pontine

Giovanni Costa detto Nino costa è autore di un olio su tavola di cm. 40×76 dal titolo “Paludi Pontine”. E’ una ulteriore testimonianza cha va ad arricchire il catalogo on-line realizzato da pontiniaweb realtivo agli artisti che hanno rappresentato o si sono ispirti alle atmosfere ed alle sensazioni che suscitavano le paludi pontine ante bonifica. La tavola rappresenta uno scorcio del limitare delle paludi pontine come si evince dalle colline e dalla vegetazione rada tutt’altro che intricata rappresentata, invece, da altri artisti che hanno rappresentato gli ambienti e le atmosfere evocative di quell’ambiente selvaggio ed ostile delle paludi pontine prima dell’avvento della bonifica idraulica integrale.L’opera, risalente alla metà del 1800, coincide con la permanenza di Costa nel Lazio quando, “nel 1848, durante il breve idillio politico fra i patrioti italiani e il papa Pio IX, si arruola nella Legione Romana e combatte nel Veneto. Tornato a Roma dopo l’infelice esito della guerra, riprende a studiare pittura col Massabò; ma costituitasi la Repubblica Romana, dopo la fuga del papa a Gaeta, riprende le armi, difendendo la città dai francesi e militando nello stato maggiore di Garibaldi. Caduta la repubblica, per sfuggire alla ritorsione pontificia, Nino Costa si rifugia all’Ariccia, e comincia a dipingere in campagna dal vero, spingendosi fino alla Sabina, e, in direzione opposta, verso Albano e il mare.

Giovanni Costa detto Nino - Le paludi Pontine

Giovanni Costa detto Nino - Le paludi Pontine

E’ in questa libera attività ispirata alla bellezza ora selvaggia, ora idillica del paesaggio laziale, che si forma il linguaggio personale, luminoso e realistico della sua pittura, per spiegare il quale occorre supporre, accanto alle sue doti innate, la conoscenza di quanto era già stato realizzato a Roma dalla vivace colonia di artisti internazionali, dai pensionaires francesi di villa Medici, ai Danesi, ai tedeschi, o ai pittori scandinavi e dei Paesi Bassi, come Pitloo, Vervloet e Dahl, che Costa potè meglio conoscere, loro stessi o le loro opere, recandosi, come fece, a disegnare e a dipingere a Napoli e in Campania. All’Ariccia invece fu certamente in contatto con la Colonia tedesca, e, fra l’altro, dovette incontrarsi attorno alla metà del secolo anche con BÖcklin. Ultimo, ma fondamentale incontro per gli sviluppi futuri della sua carriera fu quello con Leighton e con il Mason, due artisti inglesi che, specie il primo, furono il grande tramite fra Nino Costa e il mondo anglosassone.

I risultati degli anni di lavoro fra le due guerre di indipendenza furono tutta una serie di studi dal vero, dipinti senza alcuna convenzione tradizionale, e liberi sia da ipoteche romantiche che da classiche rielaborazioni ideali; e forse il più importante quadro di quel momento fu le “Donne che portano la legna al porto di Anzio”, destinato, quasi dieci anni più tardi, a figurare nella Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze, ed oggi conservato a Roma nella Galleria d’Arte Moderna a Valle Giulia. Sono molto caratteristici di queste opere eseguite nel sesto decennio i formati rettangolari allungatissimi, certo suggeriti dai larghi e piatti orizzonti di certa campagna fra Roma e il mare.” [testo tratto da artesuarte.it]

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