Dal Corriere della Sera del 25 giugno 1992 – pagina 2

strettamente personale

attenzione, ne uccide di piu’ la chiacchiera che la spada

la polemica sulla lettera di Bobbio a Mussolini. l’ atteggiamento sempre ambiguo degli intellettuali italiani, da servi del fascismo a sponsor del comunismo anni settanta

Ho visto che la lettera di Norberto Bobbio al duce ha suscitato uno scambio di idee e di insulti. Una supplica giovanile, per potere sopravvivere, poi una vita anche politicamente esemplare. E’ vero che i nostri atti ci seguono, ma va detto che in quei tempi anche gli intellettuali, come scrisse Alvaro, indossarono una livrea: solo dodici professori rifiutarono di giurare fedelta’ al regime. E lo stesso probo Alvaro non si perdonava di avere accettato mille lire di un premio Pontinia, o Sabaudia, per un articolo sulle paludi prosciugate, e Brancati senti’ sempre come una umiliazione avere piazzata nel dramma Piave una battuta encomiastica sul bersagliere Mussolini, e Gianni Agnelli mi racconto’ che ando’ a prendere un 18 di guerra, a un esame universitario, da Luigi Einaudi, il quale, senza alzare la testa, commento’ : “Che vergogna, con quel nome”. Ma uno studente che aspettava la stessa immeritata promozione intervenne: “Che vergogna col suo, stare su quella cattedra”. Squadristi erano stati Maccari e Rosai, Longanesi aveva inventato il motto: “Mussolini ha sempre ragione”, Pratolini riceveva ogni mese un assegno dal ministero della Cultura popolare. Al tempo della guerra d’ Africa, anche Croce offri’ la sua medaglietta di senatore alla Patria che aveva tanto bisogno d’ oro. Al codice fascista di Dino Grandi diede il suo valido contributo anche Calamandrei; Papini partecipo’ a un convegno a Weimar organizzato dai nazisti, insomma, le occasioni per compromettersi, o anche per arrossire, non mancavano. Pirandello e Marconi indossavano l’ uniforme degli accademici, ricordo il panciuto Mascagni con un imbarazzante moschetto tra le mani che faceva la guardia alla Mostra della rivoluzione delle camicie nere. Poi ho conosciuto Piero Jahier, che ando’ a fare il funzionario delle Ferrovie, non scrisse una riga, fece solo traduzioni, e il professor Nigrisoli, grandissimo chirurgo, che lascio’ la carriera, e visitava e operava i poveri per niente ma bisogna riconoscere che il coraggio, o l’ eroismo, non sono merce corrente, e perfino certi comunisti, di fronte ai successi del dittatore, ebbero la tentazione di mettersi d’ accordo coi “fratelli fascisti”. Un errore, e’ stato detto, diventa una colpa quando uno si rifiuta di correggersi, di migliorarsi. Per questo mi chiedo se noi giornalisti non dovremmo riflettere su quanto abbiamo detto e scritto negli anni che sono venuti dopo, quando non c’ era piu’ l’ attenuante del partito unico. Quante appassionate e smodate denunce, poi smentite dall’ insopprimibile tenacia dei fatti. Salta il traliccio e salta Feltrinelli, ed ecco che c’ e’ la mano dei soliti servizi segreti. Muore il povero Pasolini, e ho in mente un titolo: “Hanno ucciso la poesia”, e c’ e’ subito chi parla di una congiura. Anzi: c’ e’ ancora chi insiste, e di un triste incontro con cena a base di spaghetti, aglio, olio e peperoncino, fa una trama per eliminare un artista che denuncia i mali di questa ipocrita societa’ , rappresentata autorevolmente dalla Democrazia cristiana. E quando il prefetto Mazza denuncia in un famoso rapporto le manovre sovversive di una certa sinistra, chi gli concede credito viene bollato con la peggiore delle imputazioni: “Il solito buon senso”. Certo, non bisogna pentirsi della generosita’ e dell’ onesta’ delle intenzioni, ma anche il dubbio aiuta a non emettere sentenze invece di pacati ragionamenti. Che non sempre significano equilibrismi, o esercizi di furberia. E’ bello compromettersi per le cause che si ritengono giuste, ed e’ bello saper chiedere scusa quando, nella foga delle polemiche, si sono esagerati i toni ed esasperate le deduzioni. Sono considerazioni che ripeto a me stesso: perche’ non ho proprio da propormi da modello a nessuno, e non sono mai stato un propugnatore di un mestiere che in passato giustificava infiniti compromessi con una parola: “Prudenza”. Ma non mi deliziano neppure le battaglie con fucili che, vista l’ abbondanza di spazzatura, tirano cartucce che aspettano ancora l’ invenzione della polvere da sparo. C’ e’ gente che e’ stata uccisa dalle chiacchiere o dai sospetti: e’ facile distruggere una reputazione. Anche una sillaba, diceva un poeta, puo’ dare un tremito al cuore umano, che e’ come un albero scosso dal vento. Strettamente personale di ENZO BIAGI

Biagi Enzo

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