490 d.C. Basilio Decio Cecina, durante il regno di Teodorico, secondo dei Re barbari romani, attua con successo la prima opera di bonifica per acquisire la proprietà delle terre rese coltivabili senza alcun onere e provvedendo con mezzi propri. Le numerose testimonianze dell’epoca e le iscrizioni rinvenute (vedi riquadro nella pagina) a Mesa confermano il risultato raggiunto.
VI – XIII durante questi secoli le fonti consultate non riportano notizie delle sorti della pianura pontina. Le invasioni di cui è preda l’Italia, l’avvento del Sacro Romano Impero, le vicende del papato e tutti quei tumultuosi eventi che hanno interessato questo lungo lasso temporale hanno sortito l’effetto indiretto di trasformare nuovamente queste terre in zone paludose ed inospitali. Carlo Magno le donò al papa regnante che ritenendo la palude un naturale baluardo difensivo per le invasioni, specie dei saraceni, nulla fece per migliorare la condizione di queste terre. Infatti gli assalti dei Saraceni spinsero la maggior parte della popolazione a rifugiarsi presso gli antichi centri dei monti Lepini. Intorno al secolo XII ai margini della palude sorse il centro di Ninfa, che riuscì a sottomettere i comuni rivali di Sermoneta e Sezze. Gli abitanti di Ninfa avviarono progetti di bonifica e poterono godere della posizione particolare della loro città, che le consentiva di essere una stazione di dazio obbligata per i traffici da Roma verso il meridione: infatti in seguito all’impaludamento della consolare Appia nella tratta compresa tra Tres Tabernae e Terracina, i traffici diretti a sud dovettero essere deviati dall’Appia stessa verso un itinerario pedemontano, che iniziava per l’appunto dove Ninfa sorse e prosperò. Ma il declino della città, che offrì rifugio a Papa Alessandro IV inseguito dal Barbarossa, fece crollare la fragile bonifica e i suoi abitanti furono decimati dalla malaria. Oggi le rovine di Ninfa, al centro di un bellissimo giardino, sono state recuperate e sono visibili al pubblico. Nell’età medievale le paludi pontine diventarono feudo della famiglia gaetana dei Caetani, il cui ramo pontino ebbe sede a Sermoneta e a Cisterna.
1233 gli antichi insediamenti dei monti Lepini, senza un progetto condiviso ed unitario, a più riprese tentano il prosciugamento delle aree confinanti il proprio territorio che portarono ad ostinate diatribe specie tra Priverno e Terracina durata con alterne vicende dal 1233 al 1332.
1294 In questo clima di lotte intestine, quando Papa Bonifacio VIII decide di procedere alla bonifica del territorio di Sermoneta, feudo acquisito dai nipoti Caetani, le tensioni accumulate in tanti anni di contesa esplosero in rivolte e lotte che soltanto nel 1504 videro la fine per mano di Papa Giulio II.
1514 Papa Leone X fu il primo pontefice a adoperarsi concretamente per una bonifica della pianura pontina dando inizio a quella lunga serie di tentativi di bonifica posti in essere dal papato negli anni successivi che con piccoli passi hanno gettato le basi per un futuro successo. Papa Leone X incaricò il fratello Giuliano, capo delle milizie, insieme a Domenico De Juvenibus ed al capo dei lavori Giovanni Scotti un piano volto a eliminare gli acquitrini nei pressi del litorale attraverso lo scavo di un canale detto Portatore o Giuliano che consentisse alle acque stagnati del fiume Ufente di proseguire fino al mare anziché impaludarsi nelle campagne. Risulta da alcune fonti che Leonardo da Vinci abbia redatto una cartina topografica della zona dove sono evidenziati due corsi d’acqua: il Rio Martino eseguito dal console romano Cetego ed il canale Giuliano. Il finanziamento di queste opere fu a carico del duca Giuliano.
1560 Il successo dell’impresa compiuta contribuì a portare avanti le opere di bonifica, almeno nelle intenzioni, anche da parte di Pio IV che intendeva bonificare la parte alta del comprensorio in maniera tale da vedere ultimata la bonifica, ma il costante contrasto con i duchi di Sermoneta che vedevano minacciati i propri proventi dallo sfruttamento della palude, impedirono la realizzazione di qualsiasi opera.
1586 Papa Sisto V, che nominò l’architetto Ascanio Fenizi di Urbino quale direttore delle operazioni di bonifica, riuscì a dividere il territorio interessato dalle opere di prosciugamento in 20 zone e a distribuirle tra le persone che si associarono nell’impresa. L’intervento di bonifica mirato a prosciugare i territori di Sezze e Priverno, non interessò il Rio Martino ma si concentrò principalmente sul fiume Antico, successivamente noto come Sisto, regolandone il flusso, aumentandone la profondità e aprendo lo sbocco presso Torre Olevola nei pressi del Circeo.
1590 Come un copione che si ripete con la morte di papa Sisto V i lavori non continuarono con la stessa laboriosità e complice la mancanza di una personalità forte che premeva sulle opere non tardò a giungere la mancanza di fondi: pertanto l’opera rimase abbandonata. Inoltre si registrarono numerosi atti di sabotaggio degli argini e del corso dei canali ad opera dei pescatori che, insieme ad un colossale incendio, consentirono alla palude di ritornare in diverse zone. Le lotte tra le comunità circostanti, poi, non permisero per quasi un secolo di portare avanti le opere di consolidamento degli argini e di deviazione dei fiumi.
1637 Papa Urbano VIII commissionò all’olandase Cornelio Wit la ripresa dei lavori di bonifica, ma morì poco prima di iniziare. Successivamente Alessandro VII dopo varie consultazioni individuò nel duca Odescalchi il finanziatore dell’opera di bonifica e nell’architetto olandese Cornelio Meyer le competenze tecniche necessarie. Questi nel suo progetto proponeva la soppressione delle piscine e limitava i lavori al ripristino dell’opera di Papa Sisto V. Tuttavia le operazioni furono vanificate, malgrado gli sforzi compiuti, nuovamente dalla faziosità delle comunità lepine che vantavano interessi sui territori interessati dalla bonifica. In questo modo fu scoraggiato qualsiasi altro successivo tentativo di bonifica.
1777 Papa Pio VI commissionò una delle più colossali opere di bonifica delle Paludi Pontine impostando con rigore il progetto basandosi sulle esperienze dei precedenti tentativi di bonifica ed individuando le cause di insuccesso. Nominò infatti un commissario legale, l’avvocato Giulio Sperandini, per dirimere le eventuali controversie che sarebbero nate dagli interessi dei comuni limitrofi sui nuovi territori e si avvalse dell’opera tecnica di Gaetano Rappini. I fondi furono stanziati dai proprietari terrieri in maniera proporzionale al vantaggio che i loro possedimenti avrebbero tratto dalle opere di bonifica. I lavori iniziarono con la demolizione delle peschiere e lo sgombero dei terreni circostanti la Via Appia lungo la quale venne tracciato un nuovo canale navigabile chiamato Linea Pio che attraversa la pianura longitudinalmente e sfocia in mare nei pressi di Terracina. Successivamente furono costruiti due alvei indipendenti per dividere le acque alte e basse al fine di alleggerire la portata del nuovo canale. Furono convogliate dunque le acque dei fiumi e degli altri corsi d’acqua naturali della palude attraverso i canali costruiti ex novo, come il citato Linea ed il canale delle Mole, oltre a quelli già esistenti solcati nei precedenti tentativi di bonifica. E’ durante questa opera che vennero tracciati i piccoli canali, denominati fosse miliari perché tracciati in corrispondenza delle pietre migliare della via Appia, che si occupavano dello scolo dei terreni dalle piogge. Della manutenzione di questi fossi furono obbligati i contadini delle terre risolvendo in parte il problema della manutenzione ed efficacia degli stessi. Le acque di questi canali furono convogliate in delle fosse, ancora oggi esistenti, chiamate della Botte e dello Schiazza che insistono nel territorio dove sorgerà Pontinia.
Papa Pio VII agli inizi del XIX secolo cercò di avversare il latifondo e di vincolare il contadino alla terra, migliorandone le condizioni di vita. Tale condotta fu molti anni più avanti ripresa dalla politica del regime fascista proprio in queste terre.