Da La Stampa del 25/08/2002

Illustratzione di Corrado Alvaro

Illustratzione di Corrado Alvato

CORRADO Alvaro e’ stupefatto e ammirato. Scrive: «Il sistema dell’Agro pontino ha questo di straordinario: che riproduce in un’estensione di tempo assai breve quello che l’uomo e la sua opera compiono in un lungo giro di anni, talvolta secoli> >. Lo scrittore ha visto mettere una dopo l’altra la prima pietra delle ”citta’ nuove” insediate la’ dove c’erano malaria, paludi, desolazione secolari, e subito e’ dovuto ritornare per vedere l’opera finita, e raccontare l’inaugurazione di Littoria, Sabaudia, PONTINIA, Aprilia, Pomezia … Ammette: «Non dev’essere mai accaduto di vedere in cosi’ breve tempo e da giorno a giorno una cosi’ vasta e completa trasformazione della terra». Lui ha registrato l’arrivo degli operai, quello dei coloni, i mattoni che creano edifici e i lavori nei campi che incominciano a dare frutti. In un pugno di mesi sotto i suoi occhi lo scenario antico veniva stravolto. «Chi ricorda certi studi di scienziati che al cinema ci fanno assistere in pochi minuti alla nascita, vita, fioritura di una pianta, e quando fora la terra e quasi si avvolge come una fiamma crescendo in un respiro di vita, potra’ farsi un’idea della rapidita’ delle trasformazioni di questo lembo di terra» aggiunge. L’avventura della bonifica e della colonizzazione delle Paludi Pontine scorre, come in un film, con sequenze accelerate quanto imprevedibili nell’Italia degli anni Trenta. E’ un’avventura che suscita ammirazione. Suscita anche incredulita’. Mussolini stesso non si immagina quello che poi succedera’. Nel ’27 a Giovanni Giuriati, ministro dei Lavori Pubblici, ha scritto: «Bisogna ruralizzare l’Italia anche se occorrono miliardi e mezzo secolo». Non e’ il solo ad essere scettico. Alla vigilia dell’inizio dei lavori per Sabaudia, durante un sopralluogo, Luigi Piccinato che insieme con Cancellotti, Montuori, Scalpelli ha vinto il concorso per il nuovo insediamento – indicando il territorio ancora completamente vuoto descrive le future strutture: «… li’ costruiremo il municipio, in fondo verra’ la chiesa, mentre il complesso degli edifici pubblici si estendera’ lungo tutto il fronte stradale…». E l’architetto Pierre Vago, in occasione di una mostra tenuta anni fa a Bordeaux su Sabaudia appunto, ha ricordato la scena e gli sghignazzi canzonatori suoi e degli altri giovanissimi architetti alle spalle del maestro. In meno di un anno invece la cittadina, finita, sarebbe diventata il fiore all’occhiello del Razionalismo italiano. Negli occhi di tutti erano ancora imperiosamente presenti le immagini dei pittori che hanno reso noto al mondo lo scandalo di quell’umanità’ degradata e sola alle porte di Roma, l’orrore dell’insicurezza e del clima minaccioso della palude, la convivenza con animali dall’aspetto primordiale, con uomini abituati alla macchia e al bosco piu’ che alla vita civile. Risuonavano ancora tanto erano recenti – le parole di personaggi come Sibilla Aleramo che qui veniva con Giovanni Cena per capire, essere testimone e possibile portatrice di solidarieta’, e scriveva: «In questi luoghi non giunge mai nessuno, salvo l’arruolatore e l’agente delle tasse. Neanche il prete, neanche per i morti, che vengono portati a spalla al cimitero piu’ prossimo, a dieci chilometri. Ne’ il medico, ne’ la levatrice». Naturale che la trasformazione dell’area pontina piacesse moltissimo a Filippo Tommaso Marinetti, accademico d’Italia, fondatore e capo carismatico del futurismo. E’ in prima fila all’inaugurazione di Littoria e di Sabaudia, in cui vede intrecciarsi il mito della modernita’ con quello della velocita’, l’apoteosi della macchina con l’ambizione di rivoluzionare il mondo, e scrive articoli entusiasti per il quotidiano torinese cui collabora, la «Gazzetta del Popolo», tanto ricchi di elogi che Angiolo Mazzoni, architetto bolognese e funzionario del ministero delle Comunicazioni, il progettista dell’edificio postale di Littoria, aderisce al movimento futurista e ne diventa alla fine il maggior esponente in campo architettonico nel periodo fra le due guerre mondiali. Si parla ormai di Sabaudia come di un felice prototipo. Particolari sono le atmosfere rarefatte da quadro espressionista che tagliano i suoi spazi, leggibili con piu’ evidenza che altrove i sistemi lineari convergenti ideati dai progettisti, la stretta relazione fra centro abitato e luoghi di lavoro. Piccinato aveva scritto: «Littoria e Sabaudia vivono una vita propria, racchiudono in se’ una ragione funzionale inconfondibile. Non sono citta’, ma centri comunali agricoli; indissolubilmente legate al territorio, esse non sono pensabili fuori dalla organizzazione agricola che le sorregge». Le Corbusier ne e’ sedotto. Viene in Italia nel ’34 per un ciclo di conferenze, visita Sabaudia, se ne appassiona talmente che si candida per progettare quella che poi sarebbe stata PONTINIA. Alloggia all’Albergo Palazzo e Ambasciatori progettato da Piacentini, a via Veneto, prepara gli appunti per le sue conferenze, e si aggira per via dell’impero, rimane inebriato dal Palatino, cerca di incontrare Mussolini, contatta Bottai come possibile committente e comunque autorevole tramite con . Propone, insiste. Riparte, scrive ancora ai suoi referenti italiani. Ma alla fine l’incarico non gli viene dato e Sabaudia resta per lui un amore e un motivo di frustrazione. La seduzione esercitata dalla cittadina e’ contagiosa. Lo confessa Massimo Bontempelli in un articolo pubblicato anche questo! sulla «Gazzetta del Popolo» nel ’34. Partito in macchina da Littoria, esce dal parco del Circeo, si lascia alle spalle il profilo del monte diretto verso la sagoma svettante della Torre Civica «e sboccando nella piazza del comune, mi sono sentito gli occhi di Ulisse, quando sceso a un lido e un poco addentrandosi, stupefatto vedeva citta’ bambine. Sono arrivato sull’orlo di una civilta’ che sboccia per la prima volta nell’aria. Giovinezza omerica, tutta mattutina. Una subita frescura ti ha avvolto, d’un tratto riposato e sciolto dall’incubo del paese che traversavi, la zona affatturata di Circe».

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