Le paludi pontine: poesia e citazioni

Aleardo Aleardi nel canto “Monte Circello” cita le paludi pontine restituendone una forte immagine poetica. Le Paludi Pontine compongono buona parte dell’Agro Romano; lunghe circa trenta miglia da Cisterna a Terracina; larghe meglio che venticinque da Sezza (Sezze) a Monte Circello (promontorio del Circeo), Secondo Plinio, ivi erano ventitrè città, oltre a innumerevoli ville. Ora la “mal’aria” tiene spopolata quella vasta pianura, la quale in molte parti è feracissima. I soli Sabini e gli Abruzzesi, sfidandone le febbri mortali, ardiscono scendere dai loro rnonti per guadagnarsi un pane colà al tempo della mietitura. La miserabile condizione di que’ mietitori è dipinta energicamente dalla risposta, che mentre io ero a Terracina, mi dicevan data a un viaggiatore. «Come si vive costì?» chiese questi passando. A cui l’Abruzzese: «Signore, si muore.»

[…] “È la palude, che dal Ponto à nome.
Sì placida s’allunga., e da sì dense
Famiglie di vivaci erbe sorrisa,
Che ti pare una Tempe, a cui sol manchi
Il venturoso abitatore. E pure
Tra i solchi rei do la Saturnia terra
Cresce perenne una virtù funesta
Che si chiama la Morte. – Allor che ne le
Meste per tanta luce ore d’estate
Il sole incombe assiduamente ai campi,
Traggono a mille qui, come la dura
Fame ne li consiglia, i mietitori;
Ed àn figura di color che vanno
Dolorosi all’esiglio; e già le brune
Pupille il velenato aëre contrista.
Qui non la nota d’amoroso augello
Quell’anime consola, e non allegra
Niuna canzone dei natali Abruzzi
Le patetiche bande. Taciturni
Falcian le mèssi di signori ignoti;
E quando la sudata opra è compita,
Riedono taciturni; e sol talora
La passïone dei ritorni addoppia
Col domestico suon la cornamusa.
Ahi! ma non riedon tutti; e v’à chi siede
Moribondo in un solco; e col supremo
Sguardo ricerca d’un fedel parente
Che la mercè de la sua vita arrechi
A la tremula madre, e la parola
Del figliuol che non torna. E mentre muore
Così solo e deserto, ode lontano
I vïatori, cui misura i passi
Col domestico suon la cornamusa.
E allor che nei venturi anni discende
A côr le mèssi un orfanello, e sente
Tremar sotto un manipolo la falce,
Lagrima e pensa: Questa spiga forse
Crebbe su le insepolte ossa paterne.”

[Aleardo Aleardi “monte Circello” – i Canti]

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