Le paludi pontine nella letteratura

Statua della Dea Feronia a Cisterna di Latina

Realizzata dallo scultore Ernesto Biondi tra il 1885 ed il 1890, la “Bella Ninfa”, molto probabilmente la Dea Feronia che con il braccio destro innalza un ramoscello d’ulivo, è il simbolo della vittoria della bonifica sulla palude e quindi sulla malaria, rappresentata da una figura demoniaca incatenata e distesa sotto i piedi della dea. La forma tozza creata dai massi di granito e stalattiti del Trentino, allora Impero Asburgico, rappresenta una montagna con grotte e anfratti che emerge dalla palude prosciugata sorreggendo la dea Feronia (marmo h. 210) mentre schiaccia la malaria. space_whtLa base è costituita da una vasca circolare con gradinate. All'interno della vasca ed ai piedi del rilievo erano posti gruppi scultorei rappresentanti giovani pastori e loro bestiame. L'opera, un esempio di "realismo borghese" dell'Ottocento, risentì duramente dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale durante la quale la statua della dea Feronia venne decapita ma presto restaurata

La Feroniade è un poemetto iniziato da Vincenzo Monti nel 1784 in occasione dell’inizio dei lavori delle bonifiche delle Paludi Pontine intraprese da Papa Pio VI , impresa di sistemazione idraulica, immane per l’epoca, che, anche per gli sconvolgimenti politici, fu presto abbandonata. Il poemetto anch’esso interrotto, fu invece a più riprese continuato dal Monti che ci lavorò fino alla morte, quando era tuttora incompleto. Il titolo viene dalla ninfa Feronia, amata da Giove, ma perseguitata dalla gelosa Giunone che trasformò i campi abitati dalla ninfa in una malsana palude. Il poemetto riprende lo stile della poesia didascalico-georgica che aveva avuto un grande sviluppo nel settecento, ma si risolve principalmente in uno spunto per il racconto mitologico.

“La questione della Feroniade sotto il profilo testuale appare molto complicata: gli studiosi del Monti lo sanno. Concepita e avviata negli anni romani, l’opera fu infatti interrotta e ripresa in più occasioni durante il periodo milanese, come variamente attestano pagine dell’epistolario: tra il 1811 e il 1814 (nel triennio successivo e nel 1821 invece è documentata una stasi), ancora nel 1825 e subito in seguito; ma è lasciata incompiuta.1 Scrivendo da Milano a Samuele Jesi il 19 aprile 1827, un anno prima di morire, l’autore esprimeva tutta al sua mestizia per non avere più la forza intellettuale di percorrere l’ultimo esiguo tratto creativo, forse anche solo di una cinquantina di versi, che lo separava dal traguardo.2 Negli anni, anzi nei decenni, di lavorio al poemetto mitologico dovette comportare annodamenti di nuova materia al tessuto compositivo ed i nterventi rielaborativi su brani precedentemente stesi, abbandoni, recuperi: così da determinare “l’unione, dentro l’opera, di luoghi, persone ecc. che possono parer disparate, secondoché i varii passi appartengono alla prima composizione del poema fatta in Roma, sotto gli auspici dei Braschi, ovvero a ritocchi e aggiunte degli ultimi anni” (tale l’ Avvertimento dell’editore milanese Resnati anteposto al poemetto nella stampa 1839 delle Opere montiane in due tomi). La divulgazione parziale della Feroniade si realizzò, oltre alla stampa di stralci, con pubbliche letture; lo stesso autografo di parte del poemetto fu dal Monti smarrito (prima del 1822) e ritrovato (nel 1825) [tratto da Intorno alla “Feroniade”: Monti (con altri) e il tema delle paludi pontine di Filippo Grazzini]

Comments

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Gen 21, 2010
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Antonio Rossi

A nessun poeta neoclassico riuscì, come a lui, di eludere psicologicamente i fatti della realtà e librarsi, fuori del tempo e dello spazio, su di un magico “Olimpo”, ove fosse possibile rievocare i fantasmi senza età della Bellezza classica e farli rivivere per il puro godimento dello spirito. Tutto quello che realmente accadeva intorno a lui non lo interessava seriamente. A ciò si aggiunga che la fortuna e il favore, che accompagnarono la sua attività artistica, lo esaltarono a tal punto che egli finì col considerarsi la “voce” più alta del tempo e, quindi, l’unica cui spettasse di tramandare ai posteri le vicende della sua epoca. Egli si considerò per davvero il cantore ufficiale del suo tempo ed assunse l’onere di cantare quelli che egli considerava i “fasti” di quegli anni (e naturalmente sceglieva i fatti più risonanti e spettacolari, senza minimamente penetrarli nella loro essenza e nella loro validità storica ed umana).
Per esempio, la “Feroniade” sorse con l’intento di esaltare la iniziativa di Pio VI di voler bonificare le paludi pontine, ma in effetti svolge la favola mitologica della ninfa Feronia che, per la gelosia di Giunone, vede il suo regno nel Lazio ridotto ad una palude: Giove le appare e la conforta promettendole un nuovo regno. E, come tutte le opere del Monti, è intessuta di tante immagini classicheggianti che nulla hanno più da spartire con l’intento celebrativo assunto: ecco l’elogio della mammoletta:
“Mai più cara alle Grazie e alla casta
man di Feronia, con più riguardo
educata tu cresci, o mammoletta;
tu, che negli orti cirenei dal fiato
generata d’Amore e dallo stesso
Amor sul colle pallanteo tradutta,
di Zefiro la sposa innamorasti,
e del suo seno e de’ pensier suoi primi
conseguisti l’onor.”

Posted On
Dic 31, 2009
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Paludi : informations, photos, carte, vue satellite

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